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Alle origini del calcio: il Kemari giapponese

Le origini del calcio sembrano portare a Oriente. Ma è davvero così? Cosa è il Kemari? Quali sono le sue varianti? Ci sono pratiche ludiche ancora più antiche? Si può davvero parlare di antenati del calcio contemporaneo? Lo scopriamo insieme nell'articolo. 

Il Kemari: molto più che un gioco

Illustrazioni del Kemari (Fonte: Anime Click)

Il Kemari ha origine, con ogni probabilità, alla corte imperiale giapponese nel periodo Asuka (così chiamato dalla capitale di allora e convenzionalmente compreso tra la metà del VI secolo (d.C.) e l'VIII, cioè nella prima fase della storia buddhista del Giappone). Inizialmente era praticato solo dai nobili, ma costoro non erano atleticamente prestanti e dotati – per ragioni relative allo status sociale – e il gioco ne risentiva in termini di entusiasmo e spettacolo generato. Allora venne trasmesso ai Samurai. Costoro potevano giocare perché erano nobili e allo stesso tempo offrivano prestazioni atletiche e fisiche migliori, essendo dotati oltre che allenati. La qualità del gioco migliorò: risultava più dinamico e interessante, piacevole alla vista e coinvolgente per gli spettatori. Paradossalmente, oggi il Kemari è tornato indietro da questo punto di vista. Infatti, è praticato soprattutto nei santuari dai monaci. Questi non hanno le capacità atletiche, fisiche e motorie dei guerrieri o dei samurai. Questo depotenziamento si è reso necessario per garantire la continuità della tradizione, affidandola ai "massimi" depositari della cultura giapponese.

Foto storiche del Kemari (Fonte: Edizioni Goree)
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In ricordo di Jurgen Grabowski - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

Se n'è andato Jurgen Grabowski, storico centrocampista della Germania Ovest campione d'Europa e del Mondo negli anni 70. 

Il rapporto tra Kemari e filosofia Ka-So

Questa pratica nasce intrisa di Ka-So. Si tratta della versione giapponese del Feng Shui, antica e molto studiata soprattutto agli inizi degli anni '80. Il Ka-So è una filosofia volta a rendere – tra le altre cose – armonica e virtuosa l'occupazione di uno spazio e l'abitare stesso. Il Kemari nasce su un campo di 6x6 mt. Nel tempo le dimensioni sono cresciute, e il campo è arrivato a occupare una superficie di 15 metri quadrati. È molto importante il valore attribuito allo spazio di gioco, per chi cerchi di entrare nell'ottica del Kemari. 

Nella cura del campo, ritroviamo i principi del Ka-So. Lo spazio di gioco è costituito da una superficie quadrangolare all'aperto, in sabbia battuta. Ai quattro angoli, in linea con la filosofia menzionata, sono poste quattro diverse piante tradizionali, rappresentanti le quattro stagioni. Ci sono il pino (che simboleggia l'inverno), il ciliegio (simbolo primavera), il salice o il susino (che rappresentano la stagione estiva) e l'acero palmato rosso (simbolo autunnale). La potatura non è casuale. Le piante sono curate in modo da non trattenere o danneggiare la palla, mediante un'apposita potatura. Non è possibile scindere il Kemari dal contesto che lo ospita.

I principi del Ka-so in un campo da Kemari (Fonte: kyoto-chishin)

Preservazione del Kemari nella cultura giapponese

I giapponesi avevano paura di perdere il valore di questa tradizione. Hanno temuto, da un lato, che fosse "trasformato in sport" od occidentalizzato; dall'altro, che potesse essere soppiantato dai nuovi sport occidentali. Così, venne promulgato un editto per preservarlo e perpetuarlo, valido ancora oggi. È disposto che, ogni anno, sia svolto un Festival sacro e tradizionale nel periodo primaverile. Protagonisti sono i sacerdoti shintoisti, che rievocano questa tradizione risalente ad almeno 1400 anni prima. Questa cerimonia prevede il rituale tradizionale e si svolge con gli abiti e con la palla originali. Ancora oggi è praticato nei santuari shintoisti. Uno degli appuntamenti dell'anno, in cui si rievoca il gioco del Kemari è Tanabata, festa in cui sono celebrati gli amanti celesti Orihime e Hikoboshi, nel giorno della loro ricongiunzione: il 7 luglio – infatti - "possono rincontrarsi". Altre manifestazioni si svolgono generalmente ad aprile. 

Il Kemari è intriso di "divinità": ha un proprio nume tutelare, cioè un Kami che lo protegge. Il Kami del Kemari si chiama Seidaimyojin. Il nome risalirebbe all'usanza dei giocatori di ripetere la parola sei (精 "spirito") per incoraggiarsi e concentrarsi. In particolare, Seidaimyojin ha l'aspetto di una scimmia; proprio per questo si tende a giocare nel giorno e negli orari dedicati alla scimmia (le sessioni dovrebbero iniziare alle 16:00, poiché secondo il calendario basato sul ciclo sessagesimale cinese, l'orario compreso fra le 15 e le 17  è considerato quello della scimmia).

Come si gioca a Kemari?

Palla del Kemri (Fonte: Tifa Verona)

Come suggerito dal nome stesso Ke-Mari (calcia/palla) si tratta di uno sport che richiede una palla (Mari). Si gioca con una sfera che pesa 130 grammi, fatta tradizionalmente di pelle di cervo. C'è un metodo di lavorazione specifico volto a realizzarla: per conferirle una forma il più possibile sferica, la rivestitura di cervo viene riempita di chicchi (generalmente d'orzo) che dopo un po' vengono tolti. L'involucro, poi, è ricucito (per rafforzarlo) con la pelle di cavallo. Questo è sufficiente a limitare i danneggiamenti, anche perché non ci sono conclusioni o tiri bensì solo passaggi. Non occorre tanto la forza quanto la precisione del tocco, la capacità di palleggio, la coordinazione. È possibile toccare la palla con tutto il corpo, tranne che con le mani (e, per estensione, con le braccia). 

L'obiettivo principale di questa pratica di è evitare che la palla cada a terra, interrompendo la serie di scambi volanti e palleggi. Non ci sono regole che impongano di passare la palla "di prima", dopo appena un tocco. Chi riceve la palla può palleggiarla quanto vuole prima di passarla. C'è, tuttavia, un numero di tocchi (e un piede di esecuzione) ideale, secondo la tradizione. Si dovrebbe usare il piede destro e la palla non dovrebbe essere palleggiata per oltre tre tocchi: uno per riceverla, uno per controllarla e uno per passarla agli altri. Ogni palleggio, poi, secondo l'usanza è accompagnato da un'esclamazione ("gridata"). Ricevendo la palla si esclama "Ooh!", addomesticandola con il palleggio si esclama "Ari!", e passandola "Ya!". Il primo e il terzo tocco, considerati "facili", sono chiamati "meashi" (termine traducibile con "calcio da donna") mentre il secondo, più difficile e ostico, "woashi" ("calcio da uomo"). 

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Le origini del calcio femminile in Italia con le "Giovinette" che sfidarono il Duce - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

 Le origini del calcio femminile in Italia raccontate in "Giovinette - Le calciatrici che sfidarono il duce". Ne abbiamo parlato con l'autrice, Federica Seneghini.

Le regole del Kemari

Il gioco si svolge con un minimo di due persone, e un massimo di dodici (per occupare al meglio il campo, evitando ingombramenti). In passato, generalmente, erano otto. Attenzione però: i giocatori non sono divisi in squadre contrapposte. C'è un'unica squadra, unita dall'intento di non far cadere il pallone, registrando serie di palleggi consecutivi più lunghe possibili. Non si fonda sulla rivalità tra i "calcianti" in campo, ma sulla loro cooperazione e capacità collettiva. Lo scopo soggiacente, infatti, è quello di conferire dignità, in linea con la filosofia Ka-So: non ci sono perdenti o vincitori. I risultati sono il frutto dell'impegno dell'intera squadra. Il Kemari non è mai stato una pratica competitiva, eppure come ogni attività ludica "accende" i giocatori. La possibilità di registrare un record di passaggi, ad esempio, è sufficiente a coinvolgere sia i protagonisti, sia gli spettatori, i quali contano con entusiasmo. 

(Fonte: Anime Click)

Il gioco è reso più difficile – e interessante – dalle difficili condizioni imposte, come l'indossare abiti tradizionali poco adatti all'attività "sportiva" in quanto ingombranti e scomodi rispetto al fine. Le stesse calzature utilizzate risultano poco adatte e devono persino essere legate alle caviglie affinché non siano perse o lanciate nel bel mezzo del gioco. L'abbigliamento tradizionale è costituito da indumenti simili al kimono dell'epoca Heian. I giocatori non indossano pantaloni, ma la tradizionale Hakama, paragonabile a una grande gonna a pieghe.

Perché non è corretto paragonare il Kemari al calcio contemporaneo?

Sarebbe più corretto parlare di pratica ludica. Si tratta di un gioco, in cui l'elemento agonistico è depotenziato, se non quasi assente. Sarebbe meglio – pertanto – parlare di gioco con la palla. Ce ne erano tantissimi già nell'antichità, non solo in Cina. Nel museo cinese di Zibo è esposta una mappa che raffigura siti geografici accomunati da pratiche simili al Cuju, sviluppatesi in tempi antichi. Vi compaiono l'Egitto, la Grecia (dove si giocava l'Episkyros), e l'Antica Roma (dove era praticato l'Harpastum), anche se va detto che non tutti erano praticati con i piedi.

Il giornalista Giorgio Tosatti e l'ex presidente FIFA Joseph Blatter (nel 2004) sono tra coloro che hanno collocato la nascita del calcio a Oriente, in particolare in Cina (a Zibo, dove fu inaugurato il Grande Museo sulle origini del Calcio). Non mancarono le polemiche, soprattutto da parte degli Inglesi, che si considerano i veri e unici creatori del calcio moderno (molto probabilmente a ragione).

Pare siano state anche organizzate sfide "internazionali" tra giocatori di attività ludiche svolte con i piedi e con una palla, anche se è difficile dire se fossero sfide tra praticanti di Kemari, Cuju, o di varianti continentali. Ci sono testimonianze di pratiche simili anche in Thailandia, Corea, Malesia…

The Linzi Football Museum in Zibo, Shandong Province (Fonte: SupChina.com)

Il Cuju (Ts'u-chü / 蹴鞠) è la versione cinese del Kemari (蹴鞠)?

In primo luogo, non si può parlare di Kemari senza considerare le contaminazioni con attività ludiche simili. Si pensi al rapporto tra Kemari e Cuju. Sono simili ma non identici, anche se l'ideogramma del Kemari è composto da due simboli (calciare e palla) come il corrispettivo cinese. Cu-Ju e Ke-Mari, quindi, denotano la "stessa attività". In Giappone pare si sia diffuso successivamente, a partire dal VII secolo (1300 anni fa). Anche per questo i più lo fanno discendere dal cuju (commettendo un'imprecisione). Fu portato in Giappone dalla Cina, o viceversa? Difficile stabilirlo. Le contaminazioni culturali, infatti, oltrepassano la possibilità di individuare chi sia stato il primo a proporre qualcosa.

(Fonte: Inchiostro virtuale)

Il Cu-Ju (Calcia/palla) è di origine cinese (pare si sia diffuso solo in seguito, nelle diverse varianti, in Giappone, Thailandia e Corea). Nasce come esercizio volto all'addestramento militare, piuttosto che come pratica ludica. Vi ricorrevano i guerrieri per allenarsi. Le origini sono collocabili intorno al 2500 a.C., a Zibo, nella provincia cinese di Shandong. I militari di Huang Di, l'Imperatore Giallo, praticavano – pare – una disciplina che prevedeva di controllare una palla coi piedi (senza usare le mani). Per questo motivo, è considerato un antesignano del calcio contemporaneo. C'era una trama aggressiva, legata allo scopo (a differenza del Kemari). Non c'era un'unica squadra ma due selezioni di giocatori intente ad affrontarsi. Ogni compagine schierava di solito dai 12 ai 16 giocatori. Potevano esserci contatti fisici e scontri tra avversari. La palla, inoltre, non era destinata al mero palleggio: doveva essere calciata o gettata dentro ad una fessura, in una rete sospesa ad una certa altezza (come accade oggi nel Calcio storico fiorentino). Per segnare un punto a favore della propria squadra, si poteva ricorrere quasi a qualsiasi mezzo, come in battaglia. Pian piano questa pratica iniziò a diventare meno violenta e aggressiva e finì per uscire dal perimetro dell'addestramento bellico.

Illustrazione del Cuju (Fonte: ScrepMagazine)

Marco Polo fu testimone delle origini del calcio?

Non si può stabilire con certezza. In primo luogo, perché le sue memorie sono rese spurie dalla presenza di tracce e contaminazioni successive: era diventata quasi una moda attribuire a Marco Polo la prima testimonianza o l'importazione delle più disparate scoperte o innovazioni. In secondo luogo, da quel che si può ricostruire, Marco Polo non parla di uno sport simile al calcio contemporaneo nel Milione (come avrebbe potuto all'epoca?); tuttavia, nel Libro delle meraviglie, appaiono racconti appresi dai pescatori, abituati a viaggiare e ad attraccare in diverse coste (interlocutori ideali per un uomo così curioso). I pescatori raccontano di Zipangu (Cipango, neologismo attribuibile proprio a Marco Polo), isola in cui le persone indossano belle vesti colorate, conducendo una vita agiata, impreziosita dall'accesso a giardini, strutture termali e spazi molto puliti. I pescatori avrebbero riportato notizie sull'esistenza di un gioco, che i cinesi avevano acquisito e migliorato grazie alle contaminazioni culturali con le aree geografiche circostanti.

(Fonte: Delphipages.live)

Il coinvolgimento di Marco Polo nell'acquisizione e nell'importazione di pratiche ludiche simili appare poco credibile, per quanto non impossibile. Lo stesso viaggio di Marco Polo è messo in discussione oggi (ad esempio, dall'archeologo Petrella). Già Calvino nelle Città Invisibili aveva ironicamente rappresentato i racconti di Marco Polo, come viaggi "mentali" (o quantomeno provenienti da fonti diverse rispetto all'osservazione diretta), più che fisici: «Kublai Kan s'era accorto che le città di Marco Polo s'assomigliavano, come se il passaggio dall'una all'altra non implicasse un viaggio ma uno scambio d'elementi. Adesso, da ogni città che Marco gli descriveva, la mente del Gran Kan partiva per suo conto, e smontata la città pezzo per pezzo, la ricostruiva in un altro modo, sostituendo ingredienti, spostandoli, invertendoli…».

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