Ritorno al passato: Loris Fanetti, il Re Pazzo dell'Olympique, incontra il suo destino inaspettato tra ricordi, emozioni e nuovi legami a Marsiglia. Il nuovo racconto di Giulio Giusti.
Ormai non lo riconosceva più nessuno, mimetizzato sotto 40 chili in più, la barba più sale che pepe e i pochi capelli sparsi come reduci di una guerra persa dalla folta criniera di una volta. Era adagiato sulla lunghissima panchina tempestata di mosaici de La Corniche, lo splendido lungomare di Marsiglia. Il medico gli aveva consigliato di camminare, ma a chi ha corso per una vita non puoi chiedere di camminare. Così Loris Fanetti si godeva l'anonimato su una panchina guardando il mare. Trent'anni anni prima lo stesso posto era la sua passeggiata preferita, solo che all'epoca non poteva muovere un passo senza essere accerchiato dai tifosi che gli chiedevano un autografo. Loris non si negava a nessuno, scambiava due parole con tutti, era un generoso e gli piaceva piacere. I cellulari all'epoca erano solo per pochi benestanti e non avevano fotocamera.I selfie quindi erano ancora lontani, se no ne sarebbe stato l'indiscusso re. Ma re lo era stato lo stesso: "le roi fou", il "re pazzo" come l'aveva soprannominato un giornalista dell'Equipe durante il suo periodo magico all'Olympique Marsiglia.
Loris era stato un calciatore famoso. Per i suoi ammiratori era un'ala di gran classe dal sinistro divino. Per i detrattori un'eterna incompiuta in possesso di una sola giocata: fingere di scattare a destra per spiazzare l'avversario e una veloce sterzata a sinistra che gli permetteva di allungare, grazie a un gioco di gambe micidiale, quell'attimo necessario per far esplodere il suo sinistro verso la porta. Un colpo così, per molti, negli anni seguenti l'avrebbe avuto solo l'olandese Robben, ma Loris, dentro di sé era convinto che la sua giocata fosse nettamente migliore. Era molto presuntuoso ma sapeva bene, ammettendolo segretamente solo a sé stesso, che dalla carriera avrebbe potuto ottenere di più, molto di più. Aveva vinto tanto ma uno come lui era da pallone d'oro. Conosceva i suoi limiti: le belle donne e la buona tavola. A Marsiglia aveva vissuto delle grandi stagioni: sei annate meravigliose con scudetti, coppe, l'amore incondizionato dei tifosi e delle ragazze della Costa Azzurra, anche se lui ne amava solo una: Chloé.
Loris non aveva profili social e non appariva mai in televisione. Sul fisico del bellissimo ragazzo che era stato si era abbattuto un uragano lasciando solo detriti. Su di lui circolavano tante leggende: per qualcuno era morto, per altri era alcolizzato e schiavo delle droghe. Tutte balle! Era vivo, bevevo solo un bicchiere di buon vino ogni tanto e non aveva mai preso una droga in tutta la sua vita. Il suo fisico era stato devastato dai troppi infortuni. Perché, pur avendo avuto tanti difetti, in campo non si risparmiava mai, non si tirava mai indietro e prendeva un sacco di botte. Pur di giocare e non lasciare la squadra, vinceva il dolore con una puntura di cortisone che a lungo andare gli aveva deformato il fisico e lacerato i tendini. Ora faceva fatica a camminare per il tormento che gli davano le ginocchia e le caviglie. Però, mangiava come un porco. Ingurgitava quantità industriali di pastasciutta e dolci. Per colazione, era capace di ingoiare cinque cornetti uno in fila all'altro.
Le donne, ormai, erano solo un piacevole ricordo. Aveva conquistato ragazze bellissime in tutte le piazze dove aveva giocato. Soprattutto nei suoi anni in Costa Azzurra. Ora viveva da solo a Milano, dove aveva concluso la carriera, accudito dall'affetto della sorella e di un nipote. Una cosa gli mancava terribilmente: non aver avuto figli. Non ci aveva pensato da giovane e ora, alla porta dei sessant'anni, era fuori tempo massimo.
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Era tornato a Marsiglia per partecipare a una rimpatriata con i vecchi compagni. All'inizio aveva declinato per la vergogna di far vedere agli altri com'era ridotto, poi l'insistenza e l'affetto di Guy Desal, il suo vecchio capitano all'Olympique, l'avevano fatto capitolare: "Loris, non puoi lasciare il tuo popolo senza il suo re!"
Inoltre, stava crescendo in lui la voglia di lasciare l'Italia e tornare a Marsiglia dov'era stato così bene, anche perché i medici gli avevano consigliato, per il suo stato di salute, di trasferirsi al mare.
L'appuntamento con i vecchi amici era previsto per il giorno seguente. Lui era arrivato con largo anticipo per godersi la città e il primo sole di primavera che avrebbe fatto bene alle sue ossa mangiate dall'artrosi. Aveva lasciato i bagagli in albergo e poi si era subito diretto a La Corniche. Dopo la sosta al lungomare chiamò un taxi per farsi portare in un altro dei suoi luoghi del cuore: il giardino della Collina Puget. Qui veniva con Chloé, l'unico vero grande amore della sua vita, forse perché era l'unica donna che l'aveva lasciato, stufa dei suoi continui tradimenti. Ora che era cambiato, avrebbe voluto rincontrarla per chiederle scusa e provare a riconquistarla, ma aveva paura di essere patetico e poi, ridotto com'era, era impresentabile. Di lei, poi, non aveva avuto più notizie da anni. Aveva saputo che era diventata madre di una bambina poco dopo la sua partenza da Marsiglia ma che non si era mai sposata.
Mentre pensava a Chloé, il suo sguardo fu attratto da un gruppo di ragazzini che giocavano a pallone. In mezzo a loro ne spiccava uno con una zazzera bionda, tale e quale a quella che portava lui da giovane. Ma la cosa che più lo stupiva era la tecnica di quel bambino, dotato di un sinistro fuori dal comune. Avrà avuto dieci anni ma già s'intravedevano in lui enormi potenzialità. Ormai Loris non guardava più il calcio in televisione, gli faceva schifo la costruzione dal basso. Ai suoi tempi, nelle squadre dove giocava, lo schema preferito era: «palla lunga a Loris che poi ci pensa lui».
Ora, però, era calamitato da quel bambino che, a un certo punto, fece una mossa a lui molto famigliare: finta a destra, sbilanciamento dell'avversario e sterzata rapida a sinistra. «Non può essere - pensò - è uguale alla mia». Pensò che il ragazzino era un tifoso del Marsiglia e avendo rivisto le sue giocate su youtube stava provando ad emularle.
A un certo punto il pallone schizzò fuori dal groviglio di ragazzini che se lo contendevano come una pallina da calciobalilla quando si fanno i mulinelli e rimbalzando si avvicinò alla sua panchina. Loris si alzò per calciarlo e restituirlo ai bambini, quando vide corrergli incontro il piccolo fenomeno. I due si trovarono l'uno davanti l'altro. Il ragazzino fissò Loris che si aprì in un sorriso verso di lui e contemporaneamente alzò con la suola il pallone per poi iniziare a palleggiarlo con la testa. Il bambino lanciò un urlo di gioia, come se avesse scoperto un tesoro: "Loris Fanetti! Loris Fanetti! Le roi fou!"
Il bambino l'aveva riconosciuto. Quell'urlo attirò l'attenzione di tutti i presenti al parco e di colpo si formò un capannello composto da bambini, donne, ragazzi e anziani. Il re era tornato a Marsiglia. Di colpo il cerchio intorno a Loris si strinse. Chi chiedeva un selfie, chi voleva solo abbracciarlo, chi gli domandava che fine avesse fatto. Loris era commosso, da tanto tempo non stava così bene. Poi, quando la folla si diradò, rimase solo quel bambino che porgendogli un cellulare gli chiese educatamente se poteva fare una foto con lui. Nel mentre arrivò una ragazza, una bellissima ragazza che chiamò il bambino «Loris, vieni qui. Non dare noi al signore. Hai visto che confusione hai creato?»
Loris non fece in tempo a pensare come fosse strano che il bambino si chiamasse come lui, quando guardando meglio la ragazza notò la sua straordinaria somiglianza con Chloé. La situazione era diventata imbarazzante. Il Loris grande prima guardava il Loris piccolo e notava la grande somiglianza tra di loro, poi guardava la ragazza e notava la sua somiglianza con Chloé. Il re pazzo si sentiva come trasportato in un'altra dimensione, in una vita che aveva desiderato ma che gli era sfuggita. Forse era un sogno o un déjà vu. Invece, non era nessuna delle due cose, ma solo la vita che spesso ha più fantasia della nostra immaginazione.
Il Loris grande sciolse l'imbarazzo e rispose: «Non si preoccupi, faccio volentieri una foto con Loris. E' suo figlio?»
«Sì - rispose la ragazza - è mio figlio, ma, lei, è Loris Fanetti il grande campione dell'Olympique?»
«Sì, sono io. Mi conosce?»
«Chi non la conosce a Marsiglia? Lei è una leggenda, il re, il nostro re pazzo. Ed è l'idolo di Loris che ha letto tutta la sua storia e cerca sempre i video delle sue giocate su internet».
«Troppo buona, ho avuto la fortuna di giocare in una grande squadra. Piuttosto, suo figlio è veramente bravo».
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Poi, una domanda dopo l'altra e un selfie dopo l'altro (il piccolo Loris ne volle fare diversi) l'ex campione e la ragazza parlarono cordialmente per quasi un'ora, seduti a un tavolino di un bar del parco. Il ragazzino istintivamente si volle accucciare sulle gambe di Loris, sentendosi al sicuro avvolto nel gigantesco corpo del suo campione preferito. La ragazza, che si chiamava Veronique, aveva bombardato Loris di domande, prima generiche, come per mappare l'uomo e poi sempre più incalzanti, fino ad arrivare all'ultima ripetuta tre volte: «Perché se ne andò da Marsiglia? Perché se ne andò da Marsiglia? Perché se ne andò da Marsiglia?» E nel chiederlo scoppiò a piangere, facendo piangere anche il piccolo Loris.
Loris Fanetti abbracciò la ragazza e il bambino. Tutti e tre si unirono in un unico abbraccio.
«Non piangere, Veronique – disse l'ex campione – non piangere. Posso spiegarti tutto. La ragazza che amavo mi aveva lasciato e non potevo più rimanere qui. Ma perché piangi?».
«E' troppo difficile da spiegare».
Invece, Loris aveva capito tutto: Veronique era troppo somigliante a Chloé e Loris, beh…Loris era uguale a lui. Probabilmente, anche la povera Veronique sapeva tutto. Chi non aveva saputo nulla era lui: Loris Fanetti. Perché Chloé a suo tempo non gli aveva detto nulla? Perché gli aveva nascosto la gravidanza? Aveva voglia e al tempo stesso paura di fare a Veronique la domanda che avrebbe dipanato tutti i dubbi: «come si chiama tua madre?» Ma era anche arrabbiato con Chloé per avergli nascosto un cosa così importante.
Ci pensò il piccolo Loris a risolvere tutto: «Mamma, perché non presentiamo il signor Fanetti a nonna Chloé? Sarebbe contenta, anche lei era una sua tifosa, ha tutte le sue foto a casa».
«Ma certo – disseLoris – chiamate la nonna. Stasera siete tutti miei ospiti a "Le Miramar". Chiamate la nonna e ditele che il re pazzo è tornato».
«Certo»rispose Veronique e mentre l'abbracciava gli sussurrò nell'orecchio «Certo, papà».
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