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Sì, parlo con te, caro pallone!

Quanto è cambiato il calcio negli ultimi anni? A chi giova questo cambiamento? Cosa si può augurare allo sport che amiamo di più? Questo e tanto altro nella lettera al pallone di Marco Fontanelli. 

Eri tutto sbertucciato qualche anno fa, caro pallone, ben lontano dall'odierna modernità, ma ogni tuo rimbalzo spargeva coriandoli di umiltà, passione e speranza. I ragazzi zampillavano qua e là nelle piazze per cercare di calciarti, in modo più o meno educato, e di spedirti in gol, che spesso voleva dire farti passare tra due scarpe, due maglie, due bottiglie o, addirittura, farti rimbalzare rumorosamente sulla serranda di un garage.

Finito l'orario scolastico, nel pomeriggio era più o meno questo lo scenario che ci proponevano le piazze d'Italia, da nord a sud, passando per il centro. Per non parlare poi dei parchi! Quelli sì che vibravano di calcio fin quando l'ultimo barlume di sole non strizzava l'occhiolino al vincitore: era quello il segnale del triplice fischio e chi era avanti nel punteggio vinceva. Eri sbertucciato caro pallone, dicevo, ma con dovizia elargivi felicità e spensieratezza. Non che oggi tu non lo faccia, ma sei più parsimonioso, distaccato, hai assunto una veste più compita e un atteggiamento quasi sussiegoso. È come se tu avessi smesso le vesti dell'umile lavoratore per indossare quelle del borghese. E a questa tua nuova veste devo ancora abituarmi.

C'era una volta il calcio per strada

La risposta a questo tuo mutamento che, al momento, sono riuscito a darmi, è che tu, pallone, non sia vessillifero di una nuova società, bensì il suo semplice riflesso. È come se tu «Eupalla», come ti chiamò uno dei pilastri del giornalismo sportivo italiano, ossia Gianni Brera, avessi adeguato il tuo gioco ai tempi che corrono, svuotandolo in parte della sua primigenia natura popolare e riempiendolo, invece, di sordido business. Ma non è soltanto colpa tua pallone, bensì anche di tutti noi, intesi come membri di questa società, che, per il momento, abbiamo trovato alternative più allettanti a te, perché ormai sei considerato alla stregua di un business, e quindi uno tra i tanti prodotti da vendere sul mercato al miglior offerente. Che la tua primigenia natura sia vetusta per i tempi che corrono e quindi poco attraente? La realtà è che oggi, per vedere una partita, un tifoso deve fare salti mirabolanti tra un abbonamento televisivo e l'altro; oggi, giocare online su piattaforme elettroniche è diventato preferibile allo scendere in piazza o al parco con gli amici per rincorrerti a perdifiato ma col cuore colmo di gioia e spensieratezza, caro pallone, basta girare per i parchi e gli oratori per accorgersene.

Cui bono? direbbero i latini, che tradotto sta per: "a chi giova?". A chi giova tutto questo cambiamento? A te, pallone? Non credo, perché nascesti con ben altri fini, quali per esempio alleviare nel fine settimana le fatiche quotidiane dei lavoratori, determinare la creazione di un legame viscerale tra le persone e una squadra, divertire e far appassionare la gente. Cui bono? A noi tifosi? Non penso, perché il gioco che più amiamo, il tuo gioco Eupalla, si sta trasformando in uno show da vendere, in un prodotto da cui trarre profitto, e tutto ciò lo rende sempre più avaro di emozioni e incapace di fare breccia, se non superficialmente, nei nostri cuori. Cui bono, allora, caro pallone?

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Quando Gianni Brera usò Leopardi per descrivere un dribbling di Pelé - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

Per ricordare il Re del Calcio, Pelé, prendiamo in prestito le parole di Gianni Brera che durante la finale di Coppa Intercontinentale del 1962, tra Benfica e Santos, usò i versi di Leopardi per descrivere il suo dribbling. 

È giusto che il calcio si evolva, non fraintendermi, ma non devi permettere che venga valicata quella linea sottile che trasformerebbe questo sport in un mero business regolato dalla legge economica della domanda e dell'offerta. La mia paura, ahimè, è che quel confine sia quasi, se non già, superato. Ai tempi Giulio Cesare, varcato il Rubicone, disse: alea iacta est, "il dado è tratto". Varcare definitivamente questo confine a quali conseguenze potrebbe portare? Innanzitutto, a un progressivo e triste disamoramento di vecchie e nuove generazioni nei tuoi confronti, caro pallone. La gente va ancora allo stadio e cerca di seguirti anche da distanza come meglio può perché sospinta dall'ineffabile bellezza del tuo sport e dall'amore verso la propria squadra del cuore, sarebbe sbagliato affermare il contrario. Ma quanto potrà durare tutto ciò, se questo sport perderà progressivamente il suo lato più passionale per divenire definitivamente uno show come tanti altri? Te lo sei mai chiesto?

Non ti sto attaccando, caro pallone, ti sto soltanto punzecchiando come avrebbe fatto, per esempio, un burbero, schietto, e genuino Gianfranco Civolani, oppure il cosiddetto "demone" nei confronti di Socrate. Che sia colpa di noi uomini ingordi di ricchezze e incapaci di comprendere quanto perderemmo dall'evanescenza del gioco del calcio nella sua forma più bella? Quando e se ce ne accorgeremo, diventeremo sicuramente resipiscenti, ma temo che a quel punto sarà troppo tardi. Che sia invece colpa tua, Eupalla, perché non sei stato capace di proporre qualcosa al passo con i tempi di oggi e di quelli che verranno? Io credo sia più responsabilità nostra, a partire da coloro che rivestono le cariche più importanti, poiché dovrebbero tutelare le radici più profonde del gioco del calcio, invece che lucrarci sopra. È perciò dovere nostro, di noi tutti innamorati di te, caro pallone, ricercare quanto di bello, imponderato, imprevedibile, estroso, poetico e artistico si celi all'interno del calcio, e utilizzare la nostra passione come combustibile per riportare in auge quei valori veicolati da questo sport che, purtroppo, oggi si vedono un po' annebbiati. E tu, caro pallone, devi fare tutto quanto è nelle tue facoltà per accorciare la distanza tra il tifoso e il calcio, che, ahimè, sta diventando sesquipedale nella società in cui viviamo. Il tifoso, infatti, si sta progressivamente trasformando in cliente, e questo non è concepibile, perché così viene svuotato di significato il termine "tifoso" stesso.

Un pallone, una strada, un bambino. Come in questa foto, in pieno lockdown, a Milano. Fonte Foto: Corriere della Sera

Come mi auguro il futuro del calcio? Utopico o meno, ti dico il mio desiderio Eupalla.

Mi auguro stadi di nuovo pieni; mi auguro il ritorno delle "bandiere": un Bulgarelli nel Bologna, un Del Piero nella Juventus, un Totti nella Roma, un Maldini nel Milan, uno Zanetti nell'Inter; mi auguro che un giocatore torni a scegliere il futuro della propria carriera seguendo l'amore per questo sport e non il solo vil denaro; mi auguro che questa e le future generazioni lascino le loro postazioni virtuali per scendere di nuovo in piazza e nei parchi a giocare a questo sport. Non è un pensiero codino, e quindi reazionario, ascoltami bene Eupalla, bensì un augurio che il tuo sport possa tornare a essere quello che è veramente: passione, appartenenza, spensieratezza, arte, emozione, unione e speranza.

Marco Fontanelli

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