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La Red Bull ti mette le ali. Storia dell'ascesa della Red Bull nel panorama calcistico

Sabato 22 ottobre, all'età di 78 anni è venuto a mancare Dietrich Mateschitz, l'imprenditore austriaco inventore della Red Bull, ripercorriamo in questo articolo le tappe dell'ascesa dei tori rossi nel mondo dello sport e del calcio in particolare.

Durante alcuni viaggi nel Sud-Est asiatico nel corso degli anni '80 si accorge di una bevanda energetica molto popolare da quelle parti, la Krating Daeng (letteralmente tori rossi), e di come sia utile per affrontare il jet lag; senza pensarci due volte se la porta in Austria e fonda una sua azienda per commercializzarla, la Red Bull.

La società in poco tempo cresce fino a diventare una multinazionale e Mateschitz, che è anche un grande appassionato di sport si rende conto che quest'ultimo è un grandissimo canale di pubblicità per la sua bevanda, molto più di quelli tradizionali. Per questo motivo la Red Bull a cavallo degli anni 2000 inizia a investire pesantemente nello sport, nelle discipline più disparate: dalla Formula 1 allo snowboard, dal windsurf agli sport estremi, dall'hockey al calcio.

Nel 2005 rivela la società storica della sua città, l'Austria Salisburgo, che al tempo vantava 3 campionati e 3 supercoppe d'Austria e la trasforma: cambia colori sociali, dal blu al bianco e rosso, e cambia il nome da Austria a Red Bull Salisburgo.La trasforma così tanto che i tifosi non ci stanno, non si riconoscono più in una squadra che ormai vedono come altro rispetto alla loro tradizione e decidono di creare un collettivo per ripartire con una nuova Austria Salisburgo dalle serie inferiori. Poi però arrivano i successi, 13 campionati, di cui gli ultimi 10 consecutivi e 9 coppe d'Austria, di cui le ultime 4 consecutive e con essi arrivano anche nuovi tifosi.

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L'esperienza austriaca funziona così bene per l'azienda che Mateschitz decide di investire ancora nel calcio, fino al punto di creare una rete di squadre in tutto il mondo, tutte con lo stesso nome, tutte con gli stessi colori sociali e tutte con il logo della Red Bull in bella vista al centro della maglia. In pochi anni nascono la Red Bull Ghana, la Red Bull Brazil, poi dismessa e sostituita dal Red Bull Bragantino e i Red Bulls di New York, che hanno contribuito a far crescere l'interesse per il calcio in un paese tradizionalmente avverso come gli Stati Uniti grazie all'acquisto di giocatori del calibro di Thierry Henry o Shaun Wright-Phillips.

Nel 2009 la presenza del solo Salisburgo in Europa comincia a stare stretta all'azienda che, per poter veramente contare qualcosa nel panorama del calcio europeo deve rivolgere lo sguardo verso un campionato più importante della Bundesliga austriaca.

Il terreno ideale per questa nuova espansione viene individuato nella Germania e come città in cui investire viene scelta Lipsia, dove la prima squadra, il Lokomotive non naviga in buone acque e il bacino d'udienza potenziale è enorme. Acquista il titolo sportivo di una società minore: il SSV Markranstädt, a cui cambia come di consueto colori sociali e nome, scatenando di nuovo l'ira dei tifosi. La Federcalcio tedesca però non ammette sponsorizzazioni nel nome societario, al netto di collaborazioni storiche o a lungo termine (vedi Bayer Leverkusen) e la Red Bull deve escogitare un espediente per poter inserire in qualche modo il proprio nome in quello del club. Si inventa così, un fantasioso quanto originale Rasenballsport (letteralmente sport della palla che rotola) Lipsia, abbreviato RB Lipsia e il gioco è fatto.

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"Un tiratore scelto su punizione sta alla sua squadra, come un elettrone al suo nucleo atomico."

Quando, dopo questa affermazione, il professor Gaspare Lo Buglio, titolare della cattedra di Fisica Teorica all'Università di Palermo, vide la classe scoppiare in una fragorosa risata si rese conto che forse la sua carriera accademica era giunta al capolinea. Quando, poi, fu convocato dal Magnifico Rettore, che voleva dei chiarimenti sul contenuto delle sue lezioni, ne ebbe la certezza.

Il Lipsia, che per come è nata non è vista di buon occhio dai tifosi tedeschi delle altre squadre, in pochi anni riesce a raggiungere la massima serie e nella sua stagione d'esordio sfiora l'impresa di vincere il campionato, arriva al secondo posto e conquista l'accesso alla Champions League. La rapida ascesa del Lipsia, però, non passa inosservata nei palazzi del potere della UEFA: per la prima volta, infatti, si sarebbero potute affrontare nella stessa competizione europea due squadre dello stesso proprietario e prova a metterci una pezza. Il Salisburgo viene costretto per le gare europee a cambiare il proprio stemma e a far sparire quel marchio, diventato parecchio scomodo, dal proprio nome; mentre la proprietà del Lipsia viene separata dalla società madre e sulla carta la Red Bull rimane solo come sponsor. Nonostante questo non riesce a evitare l'inevitabile: le due squadre si sono, infatti, affrontate nella fase a gironi della UEFA Europa League 2018-2019, in un doppio confronto vinto dal Salisburgo 3 a 2 all'andata e 1 a 0 al ritorno. C'è stato qualche imbarazzo al momento del sorteggio, ma la UEFA ha considerato le misure prese sufficienti a garantire la regolarità della competizione e le due gare si sono svolte senza troppi problemi.

Il Lipsia in Germania non è diventato lo schiacciasassi che è il Salisburgo in Austria, anche se è sempre ai vertici del campionato e lo scorso anno ha conquistato la prima coppa di Germania, tuttavia l'obiettivo della Red Bull non è quello di creare un nuovo Manchester City o PSG ma una realtà solida che riesca ad autofinanziarsi grazie soprattutto al trading di giocatori. Sono 9 i calciatori venduti dal Salisburgo a più di 20 milioni, tra questi Erling Haaland, venduto nel 2019-2020 per 20 milioni al Borussia Dortmund, 3 a più di 30: Aaronson venduto per 33 milioni questa estate al Leeds, Adeyemi venduto anche lui quest'anno al Borussia Dortmund per 30 milioni e Patson Daka, venduto anche lui per 30 milioni lo scorso anno al Leicester. Il Lipsia viaggia su numeri ancora più importanti con al primo posto la cessione per ben 60 milioni di Naby Keïta al Liverpool; poi Timo Werner, venduto per 52 milioni al Chelsea e riacquistato quest'anno per 20 milioni in meno; Upamecano, 42 milioni al Bayern e Konate, 40 milioni al Liverpool.

Mateschitz lascia quindi due società in salute che hanno saputo ritagliarsi uno spazio nel calcio europeo, non senza polemiche, ma con una realtà imprenditoriale alle spalle molto forte, che però non versa fiumi di milioni nelle casse dei club, che riescono a finanziarsi grazie a investimenti mirati e alla valorizzazione di giovani promesse.

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