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Luciano da Certaldo

L'Italia ha il suo nuovo allenatore. E Luciano Spalletti, dopo lo scudetto di Napoli, può essere l'uomo giusto per rilanciare sogni e speranze azzurre. 

Questa caldissima estate ha reso ancora più scottante la panchina della Nazionale italiana, liberata all'improvviso da Roberto Mancini. Ci aspettavamo più eleganza da quello che da decenni è l'uomo più trendy del calcio italiano ma, si sa, l'abito, quelli di Mancini sono di alta sartoria, non fa il monaco. Mancio, dopo aver fatto l'offeso per la sforbiciata data dalla Federazione al suo corposo e costoso staff, ha pensato bene di dimettersi e, per consolare gli storici collaboratori e soprattutto sé stesso, è pronto a sedersi su un'altra panchina: quella dell'Arabia Saudita.

Si legge di un contratto da 25 milioni netti all'anno. Nessuna critica, per carità, troppo facile fare i moralisti con i soldi altrui. La Nazionale e i suoi tifosi, però, avrebbero meritato maggior rispetto. Mancini è stato attaccato da più parti e lui, sentendosi offeso, ha detto addirittura di essere stato trattato come Pietro Pacciani, passato alla storia come il mostro di Firenze. Non capiamo lo stupore dell'ex bandiera della Sampdoria che da 44 anni, (esordio in A con la maglia del Bologna nel 1981 a soli diciassette anni), frequenta il calcio ad altissimi livelli. Dovrebbe sapere Mancini, ma lo sa di sicuro, che nel calcio contano solo i risultati. Poco importa la sua vittoria all'Europeo, che rimarrà sempre nella storia, molto importa la seguente eliminazione al Mondiale e le ultime zoppicanti partite. Valcareggi, dopo aver vinto anche lui un campionato continentale nel 1968, fu accolto, nel 1970, a pomodori e uova marce al suo ritorno da Città del Messico dove aveva portato l'Italia al secondo posto al Mondiale ed era stato sconfitto dal Brasile più grande e bello di sempre (non certo dalla Macedonia del Nord). E' curioso, poi, come al nutrito coro di moralisti che hanno attaccato l'allenatore jesino si sia unito un ex commissario tecnico come Arrigo Sacchi che non si ricorda che proprio lui, nell'autunno del 1996, abbondonò la panchina della Nazionale per sedersi nel giro di poche ore su quella del Milan. Fu un ritorno dai colori sbiaditi, visto che tre giorni dopo i rossoneri furono buttati fuori dalla Champions League dal Rosenborg.

Il recente cambio sulla panchina azzurra avrà sicuramente dei vincitori: gli avvocati. Squadre di legali sono al lavoro per dirimere la vicenda: i legali di Mancini, in questo caso la stessa moglie dell'allenatore, quelli della Federazione e anche quelli del Napoli e di Spalletti, nuovo CT azzurro. Eh sì, perché subito dopo le dimissioni del Mancio, è partito il totoallenatore che di fatto ha avuto un solo papabile (con l'alternativa di Antonio Conte in sottofondo): Luciano Spalletti. Qualcuno vociferava gli immancabili nomi dei campioni nel 2006: Cannavaro (reduce dall'esonero col Benevento), De Rossi (reduce dall'esonero con la Spal), Gattuso (reduce dal deludente campionato col Valencia), addirittura Grosso (reduce, a dire il vero, dal trionfale campionato col Frosinone, dopo anni non proprio esaltanti). Ma, sinceramente, basta! Un po' di meritocrazia non guasterebbe. 

Luciano Spalletti, allora tecnico dell'Empoli, saluta il collega Malesani della Fiorentina. Era il 1997.
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Bobo Gori, la spalla ideale - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

Un ricordo di Sergio Gori, storica spalla di Gigi Riva e uno dei pochi calciatori a vincere il campionato con tre diverse squadre: Inter, Cagliari e Juventus. 

Così è stato. Gravina per risollevare le sorti azzurre ha scelto uno dei migliori allenatori in circolazione, reduce da un capolavoro: il terzo scudetto del Napoli. Si sa, le vittorie hanno molti padri, le sconfitte spesso sono orfane o hanno un solo genitore su cui ricadono tutte le colpe. Nello scudetto del Napoli, insieme alla bravura della dirigenza e all'alta qualità della rosa, molti meriti vanno a Spalletti per la magnificenza del gioco che in pochi, non abbiamo paura a scriverlo, eguaglieranno o avvicineranno. Spalletti è l'uomo giusto quindi. Non vogliamo in questa sede discutere della sua querelle con De Laurentiis. Ci permettiamo solo di dire che il tecnico toscano non è, come temeva il suo ex presidente, colpevole di alto tradimento perché non ha raggiunto Giuntoli alla Juventus. Crediamo anche che Spalletti non avrebbe pugnalato i sentimenti dei tifosi partenopei passando all'odiata rivale bianconera, come del resto aveva apertamente dichiarato in una recente intervista, quando alla precisa domanda "se era pronto per seguire Giuntoli a Torino", ha così risposto: «Quando si ama qualcosa in maniera forte poi è chiaro che bisogna avere attenzione a non fargli del male alle cose e alle persone che ami».

Chiare sono state anche le parole dell'ex allenatore del Napoli nel giorno del suo insediamento a Coverciano: "Forse non sarò il miglior allenatore possibile per la Nazionale, ma sarò sicuramente il miglior Spalletti possibile". Come sempre parleranno i risultati e alle prime partite, fondamentali per guadagnarsi il diritto a difendere il titolo di campioni d'Europa, mancano pochi giorni. Spalletti, però, è un uomo che non ha paura di nulla. Nella sua vita non ha mai preso corsie preferenziali, essendosi sempre guadagnato tutto sul campo. Spesso è stato dato per finito ma ogni volta si rialzato più forte di prima. Dopo l'inizio brillantissimo a Empoli, portato dalla C alla A, subì una battuta d'arresto con un'ingiusta retrocessione con la Sampdoria, giunta al tramonto del suo cammino glorioso. Ebbe l'umiltà di ricominciare dalla B per rilanciarsi anni dopo a Udine con un gioco scintillante e l'accesso alla Champions League. Seguirono gli anni d'oro con la Roma, allenata in due periodi differenti. Nella Capitale, quattro secondi posti e un terzo, due coppe Italia, il tutto raggiunto con un gioco bellissimo e innovativo (soprattutto nella prima esperienza) e con due invenzioni su tutte: Perrotta guastatore e incursore e Totti falso nueve, un'idea quest'ultima che allungò la carriera al Pupone anche se lui l'accusò poi d'avergliela accorciata. I rapporti col Capitano, prima idilliaci e poi tumultuosi, gettarono ingiustamente fango su Spalletti e lo resero protagonista negativo della serie "Speravo di morì prima", dove un bravissimo Gianmarco Tognazzi interpreta l'allenatore, sottolineandone, su input dello stesso Totti, i presunti difetti e il deterioramento del loro rapporto. Spalletti, molto elegantemente, non ha mai reagito a quell'attacco e si è fatto scivolare addosso le accuse. Lo stesso Totti, anni dopo, ha lanciato messaggi di pace al suo vecchio allenatore, rendendosi conto che la parte migliore della sua straordinaria carriera è legata proprio agli anni spallettiani.

Luciano Spalletti, il padre del terzo scudetto del Napoli. Foto LaPresse

Altri alti e bassi ha vissuto l'uomo di Certaldo prima in Russia allo Zenit San Pietroburgo, con scudetti e coppe nazionali seguiti da un esonero, e poi all'Inter, dove riportò i nerazzurri in Champions League dopo ben sette anni, ripetendo il risultato anche l'anno seguente. Il terzo anno a Milano il matrimonio non proseguì perché l'Inter scelse Antonio Conte, al quale concesse un mercato ben più ricco di quello del suo predecessore. Luciano si isolò così nella sua adorata campagna in un biennio sabbatico. A chi lo considerava finito, rispose con il ritorno al calcio sulla panchina del Napoli con il biennio favoloso che tutti abbiamo ammirato e il capolavoro della sua vita sportiva: il terzo scudetto dei partenopei.
E' stato questo il miglior Spalletti di sempre o sarà quello, come promesso dallo stesso commissario tecnico, che siederà sulla panchina della Nazionale?
Luciano è sempre stato un uomo di parola. In lui si uniscono le doti della saggezza contadina e la manualità dell'artigiano (è un fanatico dell'argomento). Come un bravo contadino ha cucinato piatti prelibati con quello che trovava in dispensa: i vari Pane (non l'alimento ma il giocatore del suo Empoli), Baldini e Martusciello. Ma, da bravo artigiano, ha creato dei capolavori dalle materie prime pregiate avute tra le mani: Totti, Di Natale, Montella, Kim, Osimhen e K'varatskhelia.

Fidatevi: se in Nazionale mancheranno gli attaccanti, Luciano da Certaldo qualche cosa s'inventerà. 


Foto in copertina: Presentazione Luciano Spalletti. Sito FIGC 

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