Prima calciatore, poi telecronista. In mezzo, professore di lettere alle medie. La storia di Bruno Pizzul passa per la scuola.
Il papà, macellaio, gli aveva promesso una bicicletta in caso di bocciatura, così da averlo in bottega, a dargli una mano. La mamma, maestra, era di un altro avviso: il bambino doveva studiare. E Bruno, Bruno Pizzul, le diede retta.
Friulano di Cormons, classe 1938, lo storico telecronista se n'è andato ieri, all'Ospedale Civile di Gorizia, dove era ricoverato da qualche settimana. Cinque campionati del mondo, quattro europei, nessuna vittoria. A confermare che il Dio del calcio non esiste. Voce storica, giornalista della tradizione dei Gianni Minà, dei Beppe Viola, dei Paolo Frajese. Prima calciatore (Cormonese, Pro Gorizia, Catania, Ischia, Udinese), poi telecronista. In mezzo, professore di lettere alle scuole medie.
La scuola è stata un pezzo importante per la vita di Bruno Pizzul, figlio di maestra e padre di professoressa di matematica e scienze. E proprio a scuola ha imparato quell'amore per la parola, giusta, posata, precisa. Un amore e una ricerca che nasce dal liceo classico "e da quel vezzo giovanile di mostrare il proprio bagaglio culturale. Io ho sempre pensato che fosse importante cercare un lessico vario all'interno di situazioni un po' ripetitive come quelle di una partita di calcio. Non me ne vanto, mi viene così. E' un istinto. Il mio linguaggio sono io". Il suo amico Dino Zoff sceglie l'istituto tecnico, Pizzul invece sceglie il greco e il latino, "era una persona a modo, mai sopra le righe, corretto, preciso, puntuale". Come le parole delle sue telecronache, che arrivavano dove le immagini non potevano.
Parole dette, cercate, raccontate, urlate raramente, solo per gioia. Parole spiegate, corrette, insegnate. "Ho fatto il professore di lettere per tre anni, alle medie - ha raccontato a La Repubblica Bruno Pizzul - insegnavo storia, geografia, italiano e latino. E ancora mi capita di incontrare ex allievi che sono diventati signori pelati o corpulente signore. Quando li incrocio in qualche borgata, immancabilmente si avvicinano e mi domandano: 'Professore, si ricorda di me?' Allora mi faccio dire i cognomi, e la memoria rivive d'incanto. Insegnare era un mestiere stupendo, ti dava quel senso di utilità legato alla crescita delle persone più che al loro apprendimento. Invece il giornalismo sportivo è la sublimazione dell'effimero. Quando appresi di avere superato il concorso da telecronista, mi arrivò anche la nomina a professore di ruolo in storia e filosofia al liceo di Monfalcone. Devo dire che vacillai parecchio, non fu una scelta facile".
E la storia Bruno Pizzul oltre che insegnarla l'ha anche fatta. La storia delle "notti magiche", di Roberto Baggio, del "tutto molto bello". La storia della tragica notte dell'Heysel, raccontata con una prudenza, una discrezione e una delicatezza rari: "E ora purtroppo una notizia che debbo dare, perché è ufficiale, viene dall'UEFA. Ci sono 36 morti... una cosa rabbrividente, inaudita... e per una partita di calcio".
Il garbo, l'eleganza, l'equilibrio. La precisione giornalistica, l'accuratezza del cronista, unite alla capacità di suscitare emozioni, di creare immagini, di far viaggiare la fantasia. Doti da romanziere. In un mondo, quello di oggi, dove vince chi urla, dove ha ragione chi parla sopra, chi interrompe, chi alza la voce, dove il successo fa rima con eccesso, il professor Bruno Pizzul ci ricorda la bellezza della parola, il valore dei silenzi, delle pause, il peso delle cose dette che dette da lui sembravano così leggere. Ci ricorda l'importanza del giornalismo, l'importanza della scuola. E sarebbe bello se, in Friuli o in giro per l'Italia, una scuola portasse il suo nome.
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