La scelta di portare la Supercoppa Italiana in Arabia Saudita ha poco di sport e tanto di economia, geopolitica e sport washing.
Scintilla la supercoppa, al sole d'Arabia. Ricoperta dai soliti (petrol)dollari sporchi di sangue. È lì, ferma immobile ad aspettare due braccia che la alzino nell'azzurro cielo di Ryad. Ancora una volta complice di un gioco di denaro da parte della cara e lieta Lega Calcio.
In Italia siamo soliti a fare brutte scelte oltre che pessime figure. Nel 2019 la Lazio batté la Juventus di Ronaldo allo stadio dell'Università Re Sa'ud di Ryad. Spalti gremiti per il numero sette più famoso della storia. Ad ogni tocco di palla il boato del pubblico. Una finale di questo livello, con giocatori simili in campo, può essere esportata all'estero? Un paese serio non penserebbe mai una simile scemenza. Ma vi ricordo che ci troviamo in Italia.
La prima supercoppa giocata all'estero fu quella del 1993 tra Milan e Torino, disputata al Robert F. Kennedy Memorial Stadium di Washington e vinta dai rossoneri per uno a zero con la rete di Marco Simone. Si giocò per vari interessanti motivi negli states. Nizzola, presidente al tempo della Lega Calcio, e i due club finalisti si misero d'accordo per organizzare la finalissima al di fuori dell'Italia. Questo cercando in qualche modo di risanare il calcio italiano dopo un duro periodo di crisi esportandolo nella patria dove poi, solo un anno più tardi, vennero disputati i mondiali di calcio. I Granata e i diavoli incassarono una cifra monstre di circa un miliardo di lire a testa per una partita però da buttare nel dimenticatoio. Fu un flop su tutti i fronti. Il match venne giocato a fine agosto in uno stadio semivuoto, senza diretta televisiva per i tifosi residenti in Italia che la videro soltanto una settimana dopo in differita.
Dagli errori non impariamo mai. Quindi nel corso degli anni abbiamo deciso sadicamente di far giocare la finale in Libia, in Cina, in Qatar e poi nella straordinaria Arabia Saudita. Tutto sempre per una mera questione di soldi. Perché la favoletta dell'internazionalizzazione non ce la beviamo più.
Sogni d'Arabia
Il sogno di ogni bambino è quello di diventare calciatore per poi giocare una finale nella capitale del calcio ovvero Ryad.
Questa frase, stranamente, non è stata mai pronunciata da nessuno. Se non forse da qualche bambino del posto figlio di immigrati che rincorre un pallone scalzo mentre di fronte a lui splendono ricchi palazzi scintillanti del paese di Salmān bin ʿAbd al-ʿAzīz Āl Saʿūd. Re che ha tante caratteristiche tranne quella di essere un filino democratico. L'Arabia Saudita ha molti problemi. Inutile negarlo. Nel corso degli anni, ha progressivamente cercato di magnificarsi e accrescersi di fronte a un mondo democratico occidentale che costantemente la denigra. Sciacquare i panni in Arno (perché di fiumi Riad non ne ha) è cosa buona e giusta solo se ti chiami Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd, principe e primo ministro saudita che secondo CIA (agenzia di spionaggio civile del governo federale degli Stati Uniti d'America) e ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) è il principale mandante dell'omicidio del giornalista, scomodo al regime, Jamal Khashoggi. Un paese che reprime i suoi oppositori mandandoli al macello.
Credo che l'Arabia Saudita possa essere il luogo per un nuovo Rinascimento
Lo disse nel 2021 Matteo Renzi, leader di Italia Viva ed ex presidente del consiglio dei ministri, dialogando con il controverso principe in occasione di una conferenza sull'innovazione organizzata dal FII Institute. Fu una frase che destò parecchio scalpore all'epoca e che ancora oggi rabbrividisce noi teneri democratici occidentali che tendiamo a non violare i diritti umani e a non reprimere (parzialmente vero) le libertà altrui.
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Se Casini sente ancora la necessità di ospitare la supercoppa in un paese simile, buon per lui. D'altronde l'andazzo è questo da qualche anno e fermarlo sembra quasi impossibile. Mi duole informarlo però che Inter, Lazio, Fiorentina e Napoli giocheranno in uno dei principali paesi esecutori di condanne a morte. Tra gennaio e ottobre di quest'anno, secondo Amnesty International, sono state già eseguite 112 sentenze capitali. Abdullah al-Derazi e Jalal Labbad rischiano di essere impiccati solo per aver partecipato a proteste antigovernative. Al tempo della loro incarcerazione avevano poco meno di diciotto anni. Ecco a voi il nuovo rinascimento sporco di sangue.
Che queste finali siano realizzate in Arabia solo per soldi è fattuale. L'esportazione del calcio italiano poteva funzionare magari nei primi anni del 2000. Oggi è del tutto inutile. Soprattutto se poi vengono disputate in un paese dove il calcio sta diventando sempre di più la vittima principale del devastante sport washing. Questa estate sono stati molteplici i talenti che da un giorno all'altro hanno deciso di continuare la loro carriera in Arabia Saudita. La Roshn Saudi League sta diventando sempre più potente ed importante. Un tentativo di glorificazione che ha un passo in più rispetto a quello provato negli anni precedenti da India e Cina. Inutile negarlo, il calcio è anche geopolitica.
La supercoppa resta indubbiamente uno dei trofei più ambiti in Italia e che ancora oggi regala partite straordinarie che fanno palpitare il cuore a milioni di tifosi. Continueremo a guardarla nella speranza, un giorno, non venga più disputata in un paese dove il sangue scorre nelle strade e dove uno come me, dopo un articolo simile, sarebbe finito con una corda al collo.
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