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Il cerchio è una figura chiusa

Gli ultimi con Messi e Cristiano Ronaldo, i primi d'inverno. I primi in mezzo alla stagione di calcio, gli ultimi, si spera, con discriminazioni e diritti civili negati. I Mondiali di Qatar 2022 hanno già fatto la storia. In tutti i sensi. 

Il tempo è relativo, per alcuni, definito all'interno di schemi prestabiliti. Ciclico, per altri, con i suoi corsi e ricorsi storici. Aristotele e Einstein si sono interrogati su ciò che oggi tutti definiamo tempo. Quel granello di sabbia che scandisce l'attimo prima di un treno perso o di un goal segnato.

Teorie su teorie, formule su formule cercando di spiegare la più grande ossessione dell'essere umano: l'infinito temporale. Certo è che ci siano avvenimenti all'interno di ciò che definiamo tempo, che scalfiscono in modo indelebile le menti di tutti marchiando a fuoco degli istanti ben precisi dal quale non riusciremo più a liberarci. Questi istanti possono essere classificati come dei vecchi inizi, delle nuove fini o più semplicemente il punto in cui il ciclo ritrova sé stesso e regala brividi di infinito.

Il mondiale in Qatar sta segnando senza dubbio un punto, un marchio, un segno inequivocabile tra ciò che è stato e ciò che sarà. Il più costoso della storia, di sicuro in termini economici, ma soprattutto in termini di sangue. Il primo con il fuorigioco semi-automatico, l'ultimo con Messi e Ronaldo. Il primo nel bel mezzo della stagione sportiva, l'ultimo, speriamo, con le discriminazioni di genere. Il primo con la nazionale ospitante che perde all'esordio, l'ultimo con il tempo di gioco effettivo, inferiore ai quarantacinque minuti. Il primo con la nazionale Iraniana che non canta l'inno, l'ultimo si spera, con le sanzioni per chi indossa una fascia da capitano "non omologata".

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Storie di ordinaria morte naturale dai cantieri dei Mondiali in Qatar - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo

Sono 7 mila i lavoratori migranti morti negli ultimi dieci anni nei cantieri che preparavano i Mondiali in Qatar. Lo ha reso noto il The Guardian. 

La risonanza che sta avendo il mondiale è uno tsunami, una tumultuosa tempesta seguita da un forte vento che alza con veemenza il polverone su fatti ed eventi fin ora ai più sconosciuti. I motivi possono essere tanti. Principalmente il calcio risulta un'azienda a tutti gli effetti, muove il PIL di intere nazioni e gli interessi dei più potenti a questo ne consegue tutta una serie di dinamiche, riportate ormai anche in documentari, come quello Netflix, che sottolineano come quello che deve essere uno sport di unione e aggregazione, non ha per tutti solo questo scopo. Non può però essere solo questo.

L'obiettivo principale per cui il mondiale deve avere risonanza è la capacità di bussare alla porta del tempo e dire: "ora tocca a me, chiudere o aprire". La possibilità per cui ogni bambino la mattina si sveglia e sogna, per il proprio paese, di segnare il tempo, di entrare a fare parte del ciclo.
Ovviamente c'è sempre l'eccezione che conferma la regola e gli Italiani nel '94 ne sono stati la conferma.
A Pasadena il tempo ha deciso che l'eccezione doveva esistere e l'ha fatto proprio nel Mondiale, consacrando un nuovo inizio per il Brasile, ma regalò a Baggio l'infinito amore del suo popolo per colui che era campione e divento divino.

Il mondiale ferma i popoli, gli Argentini in ferie prima, gli Arabi con la festa nazionale il giorno dopo. Il mondiale si muove nello spazio gestendo il tempo, come l'uroboro apre e chiude i cicli regalando a noi affamati di calcio attimi di infinita felicita e unione normalmente non realizzabili. 

Lo sciagurato Romelu e il Trap in salsa giapponese
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