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Le lacrime degli eroi

Forse è ancora troppo presto per mettere insieme parole e sensazioni dopo la serata di ieri. Forse è ancora troppo presto anche solo per capire cosa è successo.

La giornata di ieri entra di diritto nella storia romanista. È una di quelle giornate romaniste e lo sarà per sempre nei ricordi di chi l'ha vissuta. L'attesa, la fila ai tornelli, i fiumi di magliette di Totti che invadevano le strade, i ponti, i semafori, le vie. Poi la partita, il gol di un ragazzino, Pellegri, nato poco prima di quel 17 giugno 2001 che a Roma significa Scudetto. I gol di Dzeko, capocannoniere della Serie A, De Rossi, capitan presente, e al 90esimo Perotti, che fa rima proprio con Lui. Le bandiere, i cori, i cartoncini alzati al cielo da tutto lo stadio. Il nome di Totti ripetuto l'ultima volta, poi ancora una, poi di nuovo.

70.000 persone a salutare il Capitano, ognuna con in testa un ricordo. Ognuna con in testa un gol, un passaggio, una partita, un'azione, un'esultanza. Con in testa non per forza un pensiero calcistico. Perché l'universalità di Totti sta proprio in questo. Francesco Totti per noi, per me, è stato qualcosa di più di un capitano, di una bandiera, di un campione, di una leggenda. Francesco Totti è la foto che ho sul comodino da quando sono bambino, è il pigiama con cui ho dormito per due anni, è il poster dietro la porta. Francesco Totti è la figurina che ho nel portafoglio, la persona su cui giuro quando devo dimostrare la mia innocenza ("Te lo giuro su Totti" mi ha risolto un sacco di litigate, una volta però mentivo ed è stato fuori due mesi). "Alla Francesco Totti" è il modo in cui volevo mi tagliasse i capelli il barbiere quando andavo alle medie, Francesco Totti era l'argomento della tesina alla maturità (poi modificato per la professoressa laziale). Francesco Totti è l'ultima cosa di cui ho parlato con nonna. Francesco Totti è l'ultima persona per cui ho pianto.

Ho pianto abbracciato ai miei amici e insieme ad altre persone che non conosco e non rivedrò mai. Insieme ad un turista svedese venuto a Roma solo per Totti, ad un bambino di dieci anni e ad una signora di settanta. Ho pianto insieme a Totti.

E tra le immagini che resteranno indelebili nella memoria, più del cucchiaio a San Siro, più del rigore con l'Australia, più dell'esultanza con il Parma, c'è quella di un eroe che piange insieme al suo popolo.

In questi anni per descrivere la grandezza di Totti abbiamo scomodato imperatori, papi, attori, personaggi storici di ogni periodo e provenienza. Allora permettetemi di scomodare ancora per l'ultima volta qualcun altro, citando Matteo Nucci, grecista e giornalista che pochi giorni fa paragonò Totti a Ulisse, autore del saggio "Le lacrime degli eroi".

Ieri Totti ha pianto, come pianse Pericle sul corpo del figlio e sul destino della città, come pianse Ulisse a sentire gli aedi cantare le sue gesta, come pianse Achille per la morte di Patroclo.

Sono eroi che piangono a viso aperto, senza vergogna, senza paura. Hanno il coraggio di piangere, di dimostrarsi vulnerabili, indifesi. Ma è un coraggio "capace di superare qualsiasi coraggio". È anche questo l'eroe.

Totti che piange insieme a quanto ha di più caro: la famiglia, la squadra, il calcio, i suoi tifosi. Totti che sotto la Curva Sud non riesce a calciare il pallone, Totti che si mette le mani al volto sotto la Tribuna Tevere, Totti che piange mentre legge la lettera.

È il ragazzino che è diventato uomo, l'uomo che è diventato eroe. E sugli spalti 70.000 persone come lui, che piangono, che sorridono, che sospirano, che attaccano il telefonino che squilla quasi fossero in chiesa, che si abbracciano, che hanno gli occhi lucidi. I bambini di ieri che oggi sono diventati grandi, i ragazzi di ieri che oggi sono diventati padri. Molti dei quali con in braccio i propri figli. Sulle spalle la maglia di Totti. 

Lessico Eusebiano
 

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