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I sogni della Roma Blind Football, squadra di calcio per non vedenti

La storia e le emozioni della Roma Blind Football, la squadra di calcio per non vedenti che unisce passione, inclusione e sacrificio sul campo. 

 "Quest'anno è difficile, ci dobbiamo mettere in testa di allenarci bene. Serve lavoro, serve essere presenti da qui alla fine". Il mister, Luca Mazza, parla, nel cerchio di centrocampo. Intorno a lui la squadra. Siamo al Centro di Preparazione Paralimpica, all'Eur. È il primo allenamento dell'anno della Roma Blind Football, la squadra di calcio per non vedenti. Sarà pure una sgambata, ma di certo non si scherza. I prossimi impegni sono a Lecce, a Crema, poi in casa. E poi chissà. "Ci hanno invitato anche in Portogallo, in Messico. Ma dipende da voi eh".

La riunione tecnica della Roma Blind Football, al Centro di Preparazione Paralimpica a Roma. Foto Il Catenaccio

"Oggi siamo a ranghi ridotti, ma ci siamo. Dobbiamo smaltire i pandori" racconta Marco, portiere. L'unico vedente in campo. Partiamo dalle regole: calcio a 5, 4 non vedenti più l'estremo difensore, che non può uscire dall'area piccola. Il campo ha delle sponde laterali, il pallone può uscire solo dalla linea di fondo. Dietro le porte c'è un allenatore, la cosiddetta "guida all'attacco", che dà indicazioni. Il pallone, all'interno, ha dei sonagli d'acciaio, fa rumore e così può essere individuato dai calciatori. "Ma in realtà non se semo inventati niente – racconta con un sorriso Sauro Cimarelli, nel mondo del calcio per non vedenti da più di quarant'anni – quando abbiamo iniziato si rompevano gli spaghetti e si infilavano nella valvola dell'aria del SuperTele, così quando rimbalzava lo sentivi. Oppure facevamo i palloni con le lattine di Coca Cola, di birra, legate con un elastico. Giocavamo in strada". In strada, tutti inizia lì. Ed è lì che si affinano doti che non si trovano ovunque: ascoltare il pallone, annunciarsi, ascoltare l'allenatore, ascoltare il compagno. "'Sti ragazzi c'hanno un hard disk in testa", il Direttore Sportivo sorride, con una punta d'orgoglio. Sorridono tutti, scherzano, ci si diverte, ci si prende in giro. Il clima che si respira è questo: della famiglia. Ma dietro c'è tanto altro: ci sono sacrifici, c'è l'impegno, c'è il lavoro di tutti i giorni.

La storia della Roma calcio non vedenti parte da lontano. "Dal 1986 e questa cosa non la dice nessuno: il primo ad aprire le porte a Trigoria è stato Dino Viola, storico presidente giallorosso. L'AS Roma arriva nel 2017 e ci dà una grandissima mano. Qui per allenarci spendiamo 12.000 euro l'anno. La Toyota pure: va a prendere i ragazzi a casa e li porta qui. È un aiuto importante". Intanto sul rettangolo si corre: giri di campo, per mettere fiato nei polmoni e per scaldarsi un po'.

Il Direttore Sportivo della Roma Blind Football, Sauro Cimarelli. Foto Il Catenaccio

"Molti campi ci hanno cacciato via, i ciechi non li vogliamo" ci racconta ancora l'allenatore. "In Italia si fa un gran parlare di inclusione, ma mancano i fatti. Se non porti una medaglia non vali. Negli altri paesi sono più avanti, basti pensare che in Argentina e in Brasile i calciatori non vedenti sono professionisti, hanno un contratto. Qui è ancora a livello di volontariato, con persone che mettono a disposizione il loro tempo" ci spiega Manuela Baldoni presidente, moglie di Mariano, preparatore e portiere della squadra. Tutti i giorni degli allenamenti partono dalle Marche per venire a Roma. "Ormai siamo una famiglia. Torni a casa arricchito, tutte le altre cose vanno in secondo piano. Poi, per carità, la partita è la partita eh". E le partite si devono vincere. La Roma Blind Football ha vinto due scudetti, una Coppa Italia, due Supercoppe. Lo scorso anno è finita quarta, dietro Crema, Liguria e Bari.

Ma ci sono emozioni che vanno aldilà di una vittoria. "Quando ho sentito la prima volta l'inno italiano, quando giocavo da portiere con la Nazionale Paralimpica – continua Sauro Cimarelli - Lì ho detto: ci sono anche io. Avevo il sogno di diventare calciatore e l'ho fatto grazie a loro. Io ho iniziato negli anni Novanta, più per curiosità che per altro. Tutti mi chiedono: perché alleni loro? Hai una figlia cieca? Io faccio questo perché me piace il calcio, so' appassionato. Quando ho iniziato pensavo che dovessi dare una mano per vestirli, per mettere gli scarpini. Invece no, sono entrato, ho iniziato a giocare e mi facevano gol. Me rodeva: mo' me segnano pure i ciechi".

L'allenamento della Roma Blind Football. Foto Il Catenaccio

Da quel momento non è mai uscito dal campo. E il progetto della Roma calcio non vedenti è continuato. Oggi oltre alla prima squadra c'è una scuola calcio, una squadra femminile, una per i bambini ipovedenti. Piccoli e grandi calciatori e calciatrici, ognuno con la propria storia. "Tutte uniche. Ti dico quella del mio capitano, Vincenzo, sono 40 anni che gioca a calcio, ha perso la vista quando ne aveva 2. Fa ancora gol mettendo la palla sopra la barriera. Ha iniziato a giocare in strada, con le lattine. Per migliorare l'equilibrio andava a camminare sui terreni appena lavorati dal trattore, nella sua campagna a Tivoli".

L'allenamento della Roma Blind Football. Foto Il Catenaccio

"Oppure Luigi, il chino, uruguagio – continua la presidente - Perde il papà, il cugino muore in un incidente stradale, la compagna perde il bambino. Lui decide di togliersi la vita, ma la pistola colpisce i nervi ottici. Ora è un'altra persona: simpatico, sereno, gioioso. Poi c'è Bryan, un'altra storia di incidente da bambini, con il fucile da caccia del padre. Viveva in Colombia, la mamma lo porta in Sicilia, per l'operazione. E in Sicilia c'è rimasto: ha fondato una squadra e ha giocato con la nazionale". In campo sta per cominciare la partitella, i primi fratini vanno a Mario, che l'ultima cosa che ricorda di aver visto è il rigore sbagliato da Baggio, e Melissa, che giocava a calcio a 11 con il fratello, "una combattente" dice la presidente. Insieme a loro anche Costantino, Lorenzo, Giuseppe, Leonardo, Samuele.

"Io a Vincenzo gli chiedevo: ma tu come sogni? Mi ha risposto: quando mi abbracci dopo un gol io ho la sagoma tua addosso, la sento. E poi mi sogno quella". "I ragazzi mi raccontavano che all'inizio sognavano a colori – conclude la presidente - con le immagini che ricordavano. Poi piano piano i colori si spengono, restano le emozioni". Che a pensarci bene sono quelle che contano. Emozioni che si trovano dietro a un gol, dentro a una partita, alla fine di un allenamento. Quelle emozioni che, a volte, puoi trovare solo su un campo da calcio. 


Foto in copertina: Facebook

Scatti dal primo allenamento del 2025 della Roma Blind Football. Foto Il Catenaccio

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