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Ho visto Josè

Sono le 19.50. Sono da poco passate le 19.27 e dopo 538 giorni di silenzio la Curva Sud torna a lanciare il suo grido. "Roma alè, Forza Roma alè, Forza Roma alè, Roma alè, Roma alè". È un ritorno a casa particolare, diverso dal solito. Sarà che è passato quasi un anno e mezzo, che dobbiamo stare ancora distanti. Ma c'è qualcosa di strano. La sensazione di una presenza altra, qualcosa di trascendente, di anormale. È la convinzione che Lui sia qui. Da qualche parte, nascosto, Josè Mourinho si aggira nei meandri dello Stadio Olimpico, del tuo stadio, del mio stadio. Di casa nostra.

Quand'è l'ultima volta che hai condiviso casa con Josè Mourinho? Il 5 maggio 2010, potrebbero rispondere gli esperti. Finale di Coppa Italia, qui a Roma. E vinse lui. Poi ci incrociammo d'estate, in un agosto di 8 anni fa, quando era al Chelsea. Ma eravamo dall'altra parte dell'oceano e sono cose che non valgono. Quella volta in finale, poi, era l'ospite, forse anche un po' indesiderato. Stavolta no, stavolta è diverso. Stavolta abitiamo insieme, siamo coinquilini. Abito con Josè Mourinho.


Le luci si abbassano, poi si spengono del tutto. Il cielo estivo di Roma colora il tetto dell'Olimpico. A un certo punto, ecco il sussulto. Nella penombra del campo, Lui spicca. È lì, davanti a te. "Sovra verde manto, cinto da giallo e rosso, uomo m'apparve". Vestito di bianco, candido, luminoso. Sembra il Papa. Soprattutto quando entra in campo, quando si fa il segno della croce. Benedice e si fa benedire.
Tutto è scenografico, in Mourinho. Ogni suo passo, ogni sua mossa, sembra venire fuori da una pellicola d'autore, da un rito ancestrale, dalla notte di Natale. Eppure è cosi naturale, mentre si muove, mentre lascia il gruppo e torna a bordocampo. Sussurra l'inno. Si gira verso la Curva. Soffia. Accompagna le bandiere della Roma, ma non lo fa dal centro, come da corteo, lo fa da fuori, a lasciare loro lo spazio e la scena. Tanto lui se la prende da solo.

Mi giro un attimo, lo perdo per un secondo e lui sparisce.
È già in panchina, forse è lì che dorme, forse ci vive. Come i maestri delle elementari, che eri convinto vivessero a scuola, tra la cattedra e la lavagna. Mourinho forse vive lì. Vive lì e pensa ogni secondo alla Roma. È lì, è casa sua.
E infatti fa quello che vuole. Non chiede permesso, non sta composto sul divano, si sdraia direttamente con le scarpe. La partita è iniziata, lui è in piedi, applaude, urla, entra in campo, fa da raccattapalle. Entra anche nel monitor, nell'inquadratura da tv. È ovunque.

Urla e la sua voce si sente fino in tribuna, supera i cori e i decibel. Inveisce per un fallo fischiato contro, incita, si sbraccia. Lo sguardo torvo, cattivo. Gli occhi della tigre. Just a man and his will to survive. Quando i giocatori erano in campo faceva di tutto per avvicinarsi a loro. Adesso, con il cooling break, se ne resta seduto, quasi in disparte. Li squadra dalla panchina. Poi riprende il match e distribuisce pacche sulle spalle, cinquine, abbracci, indicazioni.

Mi scopro geloso. Geloso del guardalinee, quando gli si avvicina. Geloso dell'assistente, che gli parla all'orecchio. Geloso dei giocatori del Raja, che sfilano davanti a lui per le foto. Non lo toccate, me lo sgualcite, me lo rovinate. Mi serve, ci serve in forma. Lasciatelo andare a dormire, ora sono finite le amichevoli e si fa sul serio. It's the thrill of the fight. Rising up to the challenge of our rival. È il brivido della lotta, il brivido che percorre le schiene un po' di tutti mentre usciamo dallo stadio. E visto il caldo, non sono brividi di freddo. "Ao, la squadra c'è eh…". "E adesso con Abraham…". "Ci vorrebbe un centrocampista…". "Hai visto l'uzbeko?". Sono brividi di curiosità, di amore, di voglia matta di ricominciare. Sono brividi da puntini di sospensione. Sono brividi per una stagione da affrontare con questi occhi qui. 


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