La prima bandiera della Roma, uno dei suoi capitani più grandi. Giacomo Losi se n'è andato, ma la sua storia resterà per sempre
Se vieni da Soncino, in provincia di Cremona, ma ti chiamano comunque "Core de Roma" un motivo ci deve essere. A dirla tutta lo chiamavano anche "Palletta", per come rimbalzava, per come cadeva e si rialzava, per come tornava in piedi. Gambe e cuore, ecco cos'era Giacomo Losi. Un difensore, un capitano, una bandiera quando ancora le bandiere non erano state inventate.
455 presenze con la maglia della Roma, un record superato solo da Daniele De Rossi e da Francesco Totti. 2 gol, contro il Foggia e contro la Sampdoria, quando rimane in campo nonostante un infortunio. 1 solo cartellino giallo, all'ultima partita della carriera, neanche uno rosso. 2 Coppe Italia, 1 Coppa delle Fiere, l'unico trofeo europeo della Roma fino alla Conference League dell'era di Mourinho. 7 milioni di lire il costo del cartellino, per portarlo nella capitale. Alla Cremonese, invece, ne era costate 500 mila, per strapparlo dalla Soncinese. Giacomo Losi era nato e cresciuto qui, tra Brescia e Milano. Figlio di Pietro, facchino, e di Maria, filanda. "Una di quelle filandere toste – aveva raccontato a Gianni Mura in questa intervista - Me la ricordo, nel primo dopoguerra, che si dava da fare a organizzare i comizi di Pajetta. Mio padre non ha mai voluto saperne della tessera del Fascio. Era di famiglia socialista. Così una notte del '43 sono venuti gli squadristi a prenderlo in piena notte. Stai tranquilla, hanno detto a mia madre, lo mandiamo a lavorare per la patria e sei fortunata, perché ti spedirà a casa dei bei soldini". Per due anni scompare, per due anni non ne hanno traccia. Torna un giorno e Giacomo neanche lo riconosce. Era magro, con la barba lunga. Veniva dalla Cecoslovacchia, dove lo avevano messo a lavorare di fianco a un campo di concentramento.
È in questa famiglia che cresce Core de Roma. E cresce con la passione per il calcio, per il Grande Torino soprattutto, ma anche per Fausto Coppi, per il ciclismo, per la bicicletta. La stessa bicicletta che Giacomo Losi utilizza per andare a portare rifornimenti alla Resistenza. "I giochi più pericolosi erano con le bombe. Nel '45 portavo bombe e nastri di mitragliatrice ai partigiani che sparavano giù della Rocca. I tedeschi si arrendevano e sul camion lasciavano di tutto, una pacchia per la gente: coperte, scarponi, ma io prendevo solo baionette e maschere antigas".
Quel giorno a Cagliari, quando se ne andò Giuliano Taccola - Il Catenaccio - Web Magazine Sportivo
Sono i tempi della guerra, della Resistenza, delle bombe. Quelle che arrivavano sempre di notte: "Noi eravamo piccoli, ma ricordo che un aereo alleato, lo chiamavamo "Pippo", cercava di buttare giù i ponti. Ma non sono mai riusciti a beccarli, distrussero solo quello della ferrovia. Noi ragazzi, a Soncino, andavamo al fiume di giorno e quando sentivamo l'allarme che suonava dalla torre civica del paese scappavamo tutti nei rifugi sotto i bastioni. Aspettavamo che la paura passasse in queste grotte sottoterra".
Dopo la guerra arriva il calcio e le strade che portano a Roma. Grandi vittorie, ma anche pagine tristi, di rabbia, di paura. La colletta del Sistina, con Losi che gira con il secchio tra le file di tifosi. Oppure la morte di Giuliano Taccola, lasciato solo da Helenio Herrera a Cagliari.
Solo, come Giacomo Losi se n'è andato. Al funerale, infatti, non c'era nessun rappresentante della società, nessun calciatore della prima squadra, nessun dirigente. Solo una delegazione dell'Under 18. C'era il popolo giallorosso, c'era la Roma della gente, la Roma più vera. Quella che forse neanche lo aveva mai visto giocare, ma aveva ascoltato i racconti, aveva sentito la leggenda. La leggenda del Core de Roma, venuto dal nord.
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