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Francesco Mancini, il portiere di Zeman tra il primo gol di Totti e il tunnel a Van Basten

"Il ragazzino illude, poi la Roma litiga". Titolava così, il giorno dopo quel Roma Foggia, il Corriere della Sera. "Quando Francesco Totti, 18 anni, puro prodotto del vivaio giallorosso che Mazzone ha preferito a Balbo, ha segnato il primo gol della sua carriera - scriveva Enzo Sasso - l'Olimpico gremito è esploso di gioia". Era il 4 settembre 1994, all'Olimpico scendeva in campo il Foggia reduce da Zemanlandia, che intanto aveva spostato sede sull'altra sponda del Tevere.

Un anno dopo lo avrebbe raggiunto anche il portiere che, quel 4 settembre storico, difendeva la porta dei satanelli. Il primo a essere trafitto da Totti: Francesco Mancini. Classe 1968, di Matera, portiere esperto, stravagante, moderno. Se n'è andato un pomeriggio di marzo, nel 2012, ad appena 43 anni. Un infarto nella sua casa di Pescara, dove aveva seguito il Maestro Zdenek Zeman per fare l'allenatore dei portieri.

Lo chiamavano l'Higuita di Matera, bravo con i piedi e folle tra i pali. Non poteva che essere così, il portiere di Zemanlandia. Uno che giocava e usciva sulla trequarti quando Neuer doveva ancora nascere. Uno che prendeva gol perché gli era volato il cappello, a Barletta. Uno che riusciva a prendere palloni sotto l'incrocio o veloci all'angolino. Uno che, nell'uscire dai pali, non ha problemi a smarcarsi l'attaccante, facendogli anche un tunnel. Neanche se si chiama Van Basten. Neanche se contro il Milan, che poi si vendica segnando 8 gol. Uno, come il suo numero. "Non mi disturbano certi giudizi - spiegava Mancini - Anzi, devo dire che mi divertono. Nel nostro ruolo bisogna essere un po' così, e non a caso, infatti, il mio idolo rimane il colombiano Higuita. Sono dell'idea che un portiere deve saper fare tutto, nel calcio di oggi. Con i piedi e con le mani. E questo non vuol dire fare spettacolo. Da bambino impazzivo per Castellini, perchè secondo me lui già a quei tempi interpretava il ruolo in chiave moderna. Però stimavo anche Zoff, grandissimo portiere. Lui aveva uno straordinario senso della posizione ".

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Amava il reggae e Bob Marley, una passione esplosa durante un concerto nel 1980. Collezionava di tutto, suonava la batteria. Sempre. Nei ritiri pre-stagione, quando in montagna si portava i tamburi oppure nei pub di Foggia, dove suonò con la sua band per festeggiare una vittoria contro la Lazio. Ed è proprio con la maglia biancoceleste che arriva la grande opportunità. "Sono curioso, più che preoccupato. Torno a giocare in serie A e davvero non me l'aspettavo. Un mese e mezzo fa sono andato con mio fratello a vedere Inter-Torino a Milano, e mi sono chiesto proprio questo: quando riavrò la possibilità di rivedere i campi più importanti? La speranza c'era, di rivederli, un giorno. Ma se m'avessero detto che poche settimane dopo sarei stato qui, con la maglia della Lazio, li avrei presi per pazzi" raccontava ai giornalisti.

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Alla Lazio resterà solo un anno, per tornare a Foggia e poi a Bari, prima di essere richiamato ancora da Zeman, a Napoli. "Non sono un pupillo dell'allenatore, anche se il rapporto tra me e lui è sempre stato splendido. Zeman è un uomo che non concede privilegi, un uomo serio che sa fare bene il suo lavoro. Chi lo critica non ne capisce ancora la bravura". Il boemo lo convinse a guardargli la porta, a fare miracoli, a essere l'ultimo baluardo. Mancini lo convinse a scoprire il Beato di Pietrelcina, tanto che il Foggia dei miracoli andava ogni anno in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo.

E di miracoli, lui ne ha dovuti fare molti. Perché quando in panchina siede uno come Zeman, il portiere non può farne a meno. Deve essere un po' Higuita e un po' giaguaro. Un po' Bob Marley e un po' Padre Pio. Proprio come Francesco Mancini.

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