La storia di Humberto Maschio, l'ultimo degli "angeli con la faccia sporca" che ha segnato il calcio argentino e italiano.
Era rimasto solo lui. Lui che andava sempre via, un attimo prima delle grandi vittorie, questa volta è stato l'ultimo ad andarsene. Humberto Maschio era l'ultimo esponente in vita del trio dei cosiddetti "angeli con la faccia sporca" insieme a Omar Sivori e Valentin Angelillo.
Furono soprannominati così dal massaggiatore dell'Argentina che nel 1957 vinse, dominandola, la Coppa Sudamericana (mamma dell'attuale Coppa America). Secondo arrivò il Brasile che fu asfaltato da quell'Argentina per 3 a 0. Piccolo particolare: i verdeoro l'anno dopo avrebbero vinto i mondiali in Svezia con quella che da molti è considerata la loro migliore selezione di sempre. La sconfitta nella Coppa Sudamericana fu salutare per i brasiliani e cambiò la storia del calcio: in positivo per i brasiliani e in negativo per gli argentini.
L'anno dopo ai Mondiali in Svezia l'Albiceleste andò malissimo, uscendo nel girone eliminatorio. Era successo che i gioielli messi in vetrina nella coppa Sudamericana, i tre "angeli con la faccia sporca", furono attratti dalle sirene del campionato italiano che all'epoca, come negli anni '80, era il migliore e più attraente torneo del mondo. Angelillo, Sivori e Maschio si accasarono rispettivamente all'Inter, alla Juventus e al Bologna. La federazione argentina vietava, in quel periodo, a un calciatore che si trasferiva all'estero di poter vestire la maglia della nazionale e così l'Argentina andò in Svezia senza il suo attacco titolare dove Angelillo era il finalizzatore, Sivori il genio e Maschio il costruttore di gioco con grandi doti realizzative. Regalare tre campioni di questa levatura agli avversari era un suicidio. Forse un capitolo fondamentale della storia del calcio avrebbe avuto un finale diverso. Sicuramente, i brasiliani fecero tesoro di quella lezione e rivoluzionarono la loro squadra (come leggerete più avanti in un estratto della "Storia critica del calcio italiano" di Gianni Brera).
Nel 1957 gli "angeli con la faccia sporca", come un altro trio più famoso di loro (i Re Magi), vennero a portare gioia e doni ai tifosi italiani. Angelillo fu un bomber irresistibile e Sivori fece innamorare generazioni di tifosi come solo più tardi seppe fare il suo connazionale più illustre: Diego Armando Maradona. E Maschio? Humberto era fortissimo come gli altri due ma nella vita, come accennato in precedenza, ebbe la sfortuna di arrivare sempre in anticipo sui grandi eventi. Detto della mancata convocazione ai Mondiali del 1958, in comune con Angelillo e Sivori, la sua prima squadra italiana fu il Bologna che si stava preparando per giocare come si gioca in paradiso e vincere lo storico scudetto nel 1964. Maschio, però, con la maglia rossoblù fu costretto a giocare centravanti ruolo che non era il suo. Gli allenatori che si succedettero sulla panchina dei felsinei (Bencic, Sarosi e Foni), erano stati fuorviati dalle valanghe di gol che l'argentino aveva realizzato nella Coppa Sudamericana e lo schierarono centravanti. Maschio era una mezzala di alta classe e per di più soffriva da morire le marcature strette, che, all'epoca, in Italia erano strettissime e durissime.
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La sua permanenza a Bologna durò solo due anni e non ebbe così il piacere di partecipare allo scudetto che sarebbe arrivato da lì a breve e soprattutto di conoscere Bernardini che ne avrebbe apprezzato le sue qualità usandole forse in modo diverso dai suoi predecessori.
Chi invece sapeva bene quanto fosse forte Maschio era Ferruccio Valcareggi, sedutosi da poco sulla panchina dell'Atalanta. Il futuro allenatore della nazionale chiese espressamente l'acquisto dell'argentino. A Bergamo Maschio giocò due stagioni di altissimo livello e anche oggi è ricordato come uno dei giocatori più forti della storia della Dea. Gli anni felici di Bergamo fecero innamorare il presidente dell'Inter Angelo Moratti. Come il figlio Massimo s'invaghì in seguito di Recoba, il padre rimase folgorato da Maschio e l'acquistò per realizzare il suo sogno: rendere "grande" l'Inter. I nerazzurri si sarebbero guadagnati poco dopo questo appellativo ma Maschio gustò solo l'antipasto di quel ricco pranzo, vincendo il primo scudetto nel 1962/63. Se Moratti stravedeva per lui, Helenio Herrera non sopportava l'argentino anche perché Maschio rischiava di togliere spazio o al suo pallino Luisito Suarez o all'emergente Mazzola.
L'argentino così traslocò un'altra volta. Valcareggi nel frattempo era andato a Firenze e fu chiaro con la dirigenza: "voglio Humberto Maschio". Fu accontentato e l'argentino deliziò i tifosi viola con tre annate farcite di giocate di altissimo livello, vincendo una coppa Italia e una Mitropa Cup. Un altro antipasto di un pranzo più ricco perché nel 1969 la Fiorentina avrebbe vinto il suo secondo scudetto ma Maschio non partecipò alla festa. Fu considerato troppo in là con gli anni e in più era stato esonerato il suo mentore Valcareggi. Al suo posto arrivò Chiappella che stava costruendo una squadra giovanissima. Era la Fiorentina ye-ye, composta in prevalenza da giovani che nel 1969 avrebbe vinto il secondo scudetto della sua storia con Bruno Pesaola in panchina. Humberto decise di tornare in patria nel suo adorato Racing dove chiuse in bellezza la carriera gustandosi un dessert regale: scudetto, Libertadores e Coppa Intercontinentale.
Maschio giocò pure due partite con la maglia azzurra. Era il tempo degli oriundi e partecipò alla sfortunata spedizione azzurra dei Mondiali in Cile. Fu una delle vittime di quella che passò alla storia come la "battaglia di Santiago" dove l'arbitro, l'inglese Aston, permise ogni tipo di nefandezza ai padroni di casa che picchiarono impunemente gli azzurri. Tra queste un cazzotto in pieno volto del cileno Sanchez a Maschio che si ritrovò sdraiato a terra col setto nasale fratturato.
Smesso di giocare, si tolse delle belle soddisfazioni, vincendo la Coppa Libertadores con l'Independiente nel 1973 lanciando due giovani che avrebbero lasciato il segno: Daniel Bertoni e Ricardo Bochini.
Una bellissima definizione di Maschio la diede la penna di Angelo Rovelli, prima firma della Gazzetta dello Sport: «tocco di palla squisito a compensare la lentezza».
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Ma in tema di grandi firme, vogliamo regalarvi, come accennato in precedenza, quanto scrisse Gianni Brera su ciò che seguì alla famosa coppa sudamericana del 1957 dove esplosero "gli angeli con la faccia sporca":
«Sul campionato del Sudamerica conviene indugiare perché risulterà determinante nella storia dei mondiali del 1958. Il Brasile lo affronta ancora a WM e viene ridicolizzato dagli argentini, che hanno allestito un trio da tuoni e fulmini. I componenti di questo trio inedito sono il diciannovenne Omar Henrique Sivori, il diciassettenne Antonio Valentin Angelillo e il poco più che ventenne Humberto Maschio. Come dice chiaramente il cognome, tutti e tre sono oriundi italiani, Sivori è ligure di origine, Angelillo lucano, Maschio pavese di Godiasco. Gli argentini si esaltano in loro e li battezzano "los angeles con la cara sucia (gli angeli con la faccia sporca). Non appena ne hanno notizia, le società italiane li comprano a suon di milioni: Sivori alla Juventus, Angelillo all'Inter, Maschio al Bologna.
La vittoria degli argentini è così schiacciante che i brasiliani si convincono di dover cambiare modulo. Si è già detto di Feola e di Guttmann. Don Vicente (Feola) è grasso e pacioso ma scrocco. Non parla di moduli, a tutta prima: quando lo incaricano di allestire la squadra per i mondiali imminenti, compila una lista di 40 nomi quasi tutti celebri e cari alla "torcida". Poi convoca uno stuolo di medici specialisti e giovandosi della loro connivenza toglie di mezzo tutti gli anziani arrembati e inutili, a cominciare dal celeberrimo Zizinho…Don Vicente si prende i superstiti e incomincia la lunga minuziosa preparazione ai mondiali 1958».
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