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Eddy Hamel, il calciatore ebreo dell'Ajax ucciso ad Auschwitz

Eddy Hamel, stella dell'Ajax negli anni '30, fu il primo calciatore ebreo e americano del club. La sua carriera straordinaria si concluse tragicamente ad Auschwitz, vittima dell'odio nazista 

Eddie Hamel. Fonte foto: Wikipedia

È il 27 ottobre 1942. Eddy Hamel esce di casa ma non sa di aver commesso due errori. Il primo gli costerà l'arresto: non aveva portato con sé la stella ebraica. Il secondo lo condannò per sempre: non aveva con sé neanche il suo passaporto statunitense.

La storia di Edward Hamel, per tutti Eddy, calciatore dell'Ajax, stella del campionato olandese degli anni 30, inizia infatti negli Stati Uniti, precisamente nell'Upper East Side di New York, a Manhattan, dove nasce il 21 ottobre 1902. Suo padre Mozes, tagliatore di diamanti, e sua madre Eefje Beek si erano trasferiti in America un anno prima della sua nascita e un anno dopo torneranno nei Paesi Bassi. Eddy Hamel cresce ad Amsterdam, dove nel 1928 conosce Johanna e dieci anni dopo diventa papà di due gemelli, Paul e Robert. I primi calci a un pallone li tira per la squadra dell'Amsterdamsche FC, grande rivale dell'Ajax. E il primo contatto con i lancieri olandesi è particolare per Eddy: i due campi di allenamento erano vicini, la giornata era stata particolarmente brutta e allora il giovane decide di prendere a pallonate le finestre dello spogliatoio dei rivali. Risultato? Una finestra rotta, un custode del campo furioso e una punizione che non avrebbe dimenticato. C'è chi dice una semplice tirata d'orecchi, chi un bagno in un torrente ghiacciato.

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 Eddy Hamel, bandiera dell'Ajax

Ma sul campo di calcio Eddie Hamel faceva parlare di sé per altro. Ala destra veloce, duttile e tecnica, approda all'Ajax nel 1922, su consiglio dell'allenatore Jack Reynolds, e diventa il primo giocatore ebreo della squadra e il primo americano in un club europeo di prima fascia. Lo chiamavano "Belhamel", il "giovane montone", per il modo allegro, vivace, spensierato e allo stesso tempo coraggioso con cui giocava sulla fascia destra. Aveva addirittura un suo fan club, che a inizio partita si schierava sulla sua corsia preferita e poi, al secondo tempo, cambiava tribuna, per essere più vicino al suo beniamino. Per Wim Anderiesen, altra leggenda del calcio di Amsterdam, era il giocatore più forte con cui avesse giocato. Tre volte campione nazionale, 125 partite e 8 gol in carriera, prima che il ginocchio lo obbligasse a smettere.

Si sarebbe aperta così la sua carriera da allenatore, prima al Zeeburgia, poi al KVV, infine all'Aclmaria Victrix di Alkmaar, come si legge nella scheda di testimonianza nell'archivio di Yad Vashem. Allenerà anche il De Kennemers, l'RKAV Volendam e la squadra ebraica dell'HEDW. Sul sito ufficiale dell'Ajax lo ricordano come un allenatore innovativo, attento alla professionalità, maniaco della forma fisica, esigente nella disciplina della squadra,

Eddie Hamel. Fonte foto: Ajax

 Dai campi di calcio ai campi di concentramento 

La scheda di Edward Hamel su Yad Vashem

Intanto però la tempesta era alle porte. Il nazifascismo iniziava a espandere sempre più forte le sue tenebre di odio e morte. Quella mattina di ottobre del 1942 per Eddie Hamel sarà l'ultima ad Amsterdam. Colpevole di essere colto in pubblico sich ohne judenstern, senza la propria stella ebraica. Saranno arrestati anche la moglie e i figli e con loro anche i genitori del calciatore. Prima trasportati all'Hollandsche Schouwburg, il teatro trasformato in centro di deportazione dai nazisti, poi al campo di Westerbork, dove incontra l'inglese Leon Greenman. Qui lo avrebbero potuto scambiare con qualche prigioniero tedesco. Non avvenne. La moglie e i figli vennero subito uccisi, così come i genitori. Lui rimase per mesi a lavorare, prima di essere trasferito ad Auschwitz, nel gennaio del 1943. Saranno quattro mesi di lavori forzati, di sofferenza, di umiliazione. La mattina del 30 aprile, durante un'ispezione, notano che il volto di Eddie Hamel ha qualcosa di strano: è gonfio, a causa di un ascesso dentale. Basta quello per condannarlo alle camere a gas.

Oggi al 145 di Rijstraat, ad Amsterdam, una pietra d'inciampo porta il suo nome. Il suo e quello della sua famiglia, la famiglia del calciatore ebreo ucciso nei campi di concentramento nazisti. 

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