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Il sogno di Beppe Perletto

Pedalando tra sfide e trionfi: l'epica storia di Beppe Perletto e il sogno della Milano-Sanremo, raccontata da Giulio Giusti.

Quando Beppe salì sulla bici era poco più che un ragazzo. Partì da Dolcedo per scendere tutta la Val di Prino fino al mare. Una volta arrivato a fondo valle, nelle vicinanze di Imperia, vide un cartello: Sanremo 37 chilometri. Troppi, era ancora giovane e poco allenato. Quel giorno risalì verso casa, ma le volte seguenti, intensificando gli sforzi, arrivò fino alla città dei fiori per provare l'ebbrezza di entrare in bicicletta in via Roma, tradizionale luogo d'arrivo della Milano-Sanremo. S'immaginò ciclista professionista mentre tagliava il traguardo a braccia alzate come aveva visto fare agli eroi della sua infanzia, i velocisti fiamminghi Van Steenbergen, Derycke e Van Looy e allo spagnolo Poblet che dominavano la corsa in quegli anni.

Il ciclismo era la sua passione, la classicissima la sua corsa preferita. Forse perché si disputava a due passi da casa sua, forse perché si correva il giorno del suo onomastico, San Giuseppe, o il sabato più vicino a tale ricorrenza.

Fu così che Beppe Perletto divenne ciclista con un sogno preciso: vincere un giorno la Milano-Sanremo. Una corsa per velocisti, mentre lui, nel percorso formativo che inizia per un corridore negli esordienti, si stava scoprendo scalatore.

Però, un giorno Vincenzo Torriani, il leggendario patron della classicissima e del Giro d'Italia, senza volerlo, mise benzina nel serbatoio dei suoi sogni, introducendo nel percorso quella che poi sarebbe diventata una storica salita della corsa: il Poggio, che da quel momento divenne l'ago della bilancia della Milano-Sanremo. L'organizzatore prese questa decisione, a inizio degli anni '60, stufo del dominio dei velocisti.

Beppe pensò che il Poggio, che ben conosceva perché ci si allenava per tutto l'inverno, poteva diventare il trampolino di lancio della sua impresa. Così, una volta diventato professionista, tentava sempre di staccare il gruppo sulla salita amica per guadagnare quel briciolo di vantaggio necessario per trascinarlo in testa in via Roma.

Nel 1977 il sogno sembrava a un passo: Beppe piantò un allungo all'inizio del pendio che gli permise di sgretolare il gruppo. Quando era quasi in cima al Poggio, mancavano solo 25 chilometri a Sanremo, si voltò e vide che alle sue spalle gli avversari sembravano sempre più piccoli e lontani. Adriano De Zan, storica voce della RAI e del ciclismo, che ben conosceva i segreti e i desideri di tutti i corridori, era al corrente anche di quelli di Beppe: «E' solo sul Poggio il ligure Perletto, il suo sogno è vincere la Sanremo. Vai, Beppe!»

Lo scatto sembrava di quelli decisivi, ma, proprio a pochi metri dalla vetta, Beppe venne raggiunto da Saronni, dal belga Leman, e dall'olandese Raas, che, scollinando per primo, mise le ali in discesa per spiccare un volo trionfante in via Roma.

Beppe Perletto

Beppe, sconfortato, fu inghiottito dal gruppo, chiudendo al cinquantesimo posto.

Tre anni prima, però, Perletto si era tolto la soddisfazione di vincere sul traguardo di Sanremo, in una tappa del Giro d'Italia, la sua prima gara da professionista. Era il 30 maggio del 1974, un giorno che Beppe cerchiò di rosso sul calendario: la quattordicesima tappa del Giro, la pietra Ligure-Sanremo. Una tappa drammatica, passata alla storia per i vani attacchi sferrati dai pretendenti alla vittoria finale a un Merckx ritenuto erroneamente in crisi. Il campionissimo belga era arrivato alla corsa rosa debilitato da una serie di malanni e sembrava sempre sul punto di crollare, ma, alla fine, vinse il suo quinto e ultimo Giro per soli dodici secondi su un giovane Gianbattista Baronchelli. Il più temibile avversario del cannibale, all'inizio della corsa, era però lo spagnolo José Manuel Fuente che, dopo un inizio fulminante, ebbe delle crisi terribili nelle due tappe liguri. Lo spagnolo, dopo aver perso la maglia rosa a Pietra Ligure, provò a riprendersela nella tappa che portava a Sanremo, attaccando in modo scriteriato Merckx. Fuente era famoso per la sua follia nel gestire la corsa, una generosità priva di logica e senso tattico ma proprio per questo era amato da una serie di appassionati delle due ruote. La tappa sanremese fu il suo capolavoro in negativo dell'iberico e l'allontanò in modo definitivo dalla possibilità di vincere il Giro.

La tappa di Sanremo entrò di diritto tra quelle che hanno trasformato questo sport in epica, sia per le condizioni climatiche, pioggia e nebbia per tutta la corsa, che per la lotta drammatica tra Fuente e Merckx, ma anche per come maturò la vittoria di Perletto. Beppe e Wladimiro Panizza si trovarono in fuga per tutta la parte finale della corsa, nessuno dei due aveva mai vinto in carriera, fino a quel giorno, una tappa al Giro. Panizza era arrivato addirittura sette volte secondo, un record, annusando solo il successo. Quella sembrava la volta buona. Panizza aveva tirato come un matto per tutta la fuga con altri tre compagni attaccati alle sue ruote. Alla fine rimasero solo Wladimiro e Beppe. Mai un cambio, sempre Panizza a tirare con la pioggia in faccia e il vento a spingerlo verso la prima vittoria. Ma in una delle ultime curve, forse per l'asfalto bagnato o la troppa foga per l'odore della prima vittoria, Wladimiro andò giù dritto, cascando e rompendo il manubrio. Beppe si trovò così servito il trionfo su un piatto d'argento e andò ad alzare le braccia sul traguardo di casa.

Ironia della sorte, per via delle terribili condizioni climatiche saltò la diretta RAI e la vittoria di Beppe non venne trasmessa. Quel successo, visto com'era maturato, aveva un retrogusto amaro. Per questo il ciclista di Dolcedo si regalò altri due trionfi al Giro in due tapponi dolomitici: nel 1977, nella Conegliano-Cortina (con arrivo a Col Drusciè) e nel 1978, nella Mezzolombardo-Sarezzo.

A Col Drusciè, Beppe raggiunse il punto più alto della sua carriera. Dopo una bella fuga, riuscì a rintuzzare gli attacchi di un emergente Beccia, gregario di Francesco Moser, e del belga Pollentier. Fu anche questa, come quella di Sanremo, una tappa passata agli annali del Giro. Pollentier quel giorno sfilò la maglia rosa a Moser per soli tre secondi, riuscendo non solo a mantenerla ma anche a incrementare il vantaggio fino a Milano. Il ciclismo cercava in quel periodo nuovi padroni. Alla partenza di quel Giro del 1978, Moser e Baronchelli sembravano i più accreditati per la vittoria finale, insieme al belga Maertens che voleva dimostrare di non essere solo un gran velocista. Il campione fiammingo, dopo un inizio travolgente, cascando si ruppe il polso e fu costretto al ritiro. I gradi di capitano passarono così al compagno di squadra e connazionale Pollentier che, guidato da un mago dell'ammiraglia come Guillaume Driessens, già massaggiatore di Coppi e guida tecnica di Van Looy e Merckx, riuscì a vincere il Giro fra lo stupore generale.

Il nostro Beppe bissò il successo sulle Dolomiti anche l'anno successivo, nella Mezzolomardo-Sarezzo. Questa volta l'arrivo non era in salita, ma prima di scendere nella piana di Sarezzo, nella bassa Val Trompia, Perletto affrontò luoghi simbolici del Giro: Cles, Dimaro, il passo del Tonale, Edolo e Breno. Dopo una lunga fuga riuscì a non essere inghiottito dal prepotente ritorno del gruppo con in testa Pierino Gavazzi e Francesco Moser.

L'anno dopo, nel 1978, Beppe colse l'ultima vittoria importante della sua carriera: il Giro di Toscana. Un bell'arrivo solitario che, purtroppo, per un problema tecnico non venne ripreso dalle telecamere della RAI. Fu così che De Zan, una volta arrivato tutto il gruppo, chiese a Beppe di ripetere l'arrivo per farsi riprendere dai tecnici della televisione e trasmettere le immagini della sua vittoria in differita.

Nel 1979 Perletto, dopo otto anni da professionista e altrettanti Giri d'Italia, decise di smettere. Iniziava a sentire la stanchezza e si era un po' stufato di quel mondo che stava cambiando.

Salì in bici ed entrò nella Val di Prino per tornare a casa, salendo fino a Dolcedo. Mentre saliva, accompagnato dai campi di oliveti e vigneti, provò a voltarsi indietro per scorgere il cartello che indicava Sanremo, dove tutto era iniziato e dove il suo sogno si era quasi realizzato.

di Giulio Giusti

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